Può Xi Jinping permettersi di non raggiungere il target del 5,5% di crescita annua del Pil proprio nell’anno della sua riconferma come Segretario Generale del Partito comunista cinese (Pcc)? E può il Partito, in queste circostanze, mettere in discussione i capisaldi della campagna del contrasto al Covid negli ultimi due anni, ovvero la strategia “Zero Covid”? La risposta che Xi e il Pcc stanno dando a entrambe le domande è un “no” secco, ma così facendo si evidenziano delle contraddizioni tra crescita economica e lotta intransigente al Covid che sta rallentando l’economia e potrebbe costare oltre 250 miliardi di dollari all’anno solo per continuare ad adottare test a tappeto nelle principali città. Come reagire, allora? Rimandando alcuni propositi di lungo periodo e, dunque, tornando a investire in infrastrutture, allentando la pressione sul settore delle costruzioni – travolto nell’agosto 2021 dalle difficoltà di Evergrande – e rivedendo le regolamentazioni applicate al settore tecnologico negli ultimi 18 mesi.
Il “cuscino” cinese si sta sgonfiando?
Perchè Xi Jinping sta modificando tali politiche? La ragione è che la guerra in Ucraina e l’emergere di focolai a Shanghai, Pechino e altri centri principali hanno generato una diffusa ondata di preoccupazione sullo stato dell’economia cinese che, secondo alcuni investitori, si trova nella peggiore condizione degli ultimi 30 anni, tanto che c’è chi si azzarda ad affermare che il “cuscino” cinese si sia “sgonfiato”. Parole di grande allarme sono state lanciate anche da Joerge Wuttke, Presidente della Camera di Commercio Europea in Cina e voce autorevole nel campo dell’economia cinese, che ha accusato Pechino di essere “prigioniera della propria narrazione”. Il riferimento è all’insistenza del Governo cinese nel proseguire con le più dure politiche di contenimento della pandemia, senza far evolvere la propria strategia elaborata e celebrata ai tempi di Wuhan quando era diverso il virus, la conoscenza che se ne aveva e il contesto economico nazionale ed internazionale. Infatti, il Comitato Permanente del Politburo del Pcc – il massimo organo politico nazionale – ha ribadito la linea dura di prevenzione pandemica a margine di un incontro del 5 maggio, richiamando uno slogan in uso anche durante la Rivoluzione Culturale che afferma come la “tenacia” sia la strada per la “vittoria”. La stabilità nazionale – rappresentata dall’eradicazione del Covid-19 – risulta, allora, la priorità del governo anche a scapito della crescita. Contemporaneamente, però, Xi Jinping ha raccomandato di non ignorare la crescita, addirittura fissando l’obiettivo di superare gli Stati Uniti a fine anno come economia in maggiore espansione.
In cerca di nuova stabilità
Come risolvere una tale contrapposizione apparentemente irrisolvibile? Come anticipato, la soluzione adottata sembra quella di rimandare il processo di transizione da una crescita sbilanciata a una più sostenibile a quando la stabilità sarà raggiunta: in questo caso intendendo per stabilità non solo “zero covid”, ma anche il delicato passaggio istituzionale di riconferma di Xi che avverrà in due tempi, con il XX Congresso del Pcc in autunno per il ruolo di Segretario Generale del Partito e con le Due Sessioni del marzo 2023 per la rielezione a Presidente della Repubblica popolare cinese –. Ora, nelle intenzioni di Xi Jinping è il momento di sostenere la crescita, e per questo in una riunione del 26 aprile della Commissione centrale economica e finanziaria – un organo di Partito deputato a definire le linee guida di politica economica – ha rilanciato l’esigenza di investire nelle infrastrutture, senza però quantificare ancora l’importo impegnato. Per quale ragione si tratta di una questione così importante? Il punto è che l’andamento dell’economia cinese negli ultimi anni ha seguito un percorso piuttosto lineare e schematizzabile come segue: 1) fino alla crisi finanziaria internazionale del 2008 esportazioni come motore della crescita; 2) dal 2008 al 2014, in conseguenza del calo della domanda internazionale e dunque dell’export, stimolo economico soprattutto per infrastrutture e costruzioni; 3) riconoscimento nel 2014 dell’esigenza di adottare una “nuova normalità” che riducesse gli investimenti improduttivi e si focalizzasse su qualità e consumi interni facendo attenzione a ridurre l’indebitamento cresciuto a partire dal 2008; 4) nel 2020, rinnovo dell’impegno a strutturare la crescita su consumi interni e qualità. Il problema da affrontare oggi è che la transizione verso i consumi interni non è mai veramente decollata e addirittura dopo lo stop della pandemia il ritmo di crescita non solo non è mai tornato al livello di prima, ma a marzo del 2022 le vendite al dettaglio sono calate del 3,5%, un valore che ancora non tiene conto dei lockdown di aprile.
Priorità alla crescita
A questo punto, il bivio che Xi Jinping ha dovuto affrontare è stato quello tra ridimensionare il target di crescita del 5,5% fissato prima della guerra e prima che la pandemia si ripresentasse con forza in Cina, oppure ritornare a spingere la crescita rimandando a un secondo momento le revisioni strutturali. Dato il particolare periodo politico, come era prevedibile, ha optato per valorizzare il risultato di breve termine e non rimangiarsi la parola su un obiettivo così importante. L’obiettivo, però, risulterà più difficile da raggiungere per il minore contributo alla crescita derivante dall’interscambio (per la guerra e le sue ricadute economiche) e dai consumi interni (per i lockdown) e dovrà appoggiarsi ad una quota crescente di investimenti in costruzioni e infrastrutture. Più le condizioni economiche generali peggioreranno e più la quota di investimenti a debito dovrà aumentare, facendo crescere il peso delle riforme da adottare una volta che la stabilità – nell’accezione pandemica e politica – sarà raggiunta. Anche per questo c’è chi sostiene, in linea con lo scetticismo già accennato, che l’epoca della “Cina a crescita sostenuta” sia ormai finita e che ci si debba riorientare verso un paradigma che preveda invece una “Cina a crescita lenta”. Sebbene tali previsioni si ripresentino ciclicamente ormai da decenni, la preoccupazione sullo stato dell’economia cinese sembra questa volta condivisa anche a Pechino. Non è ancora chiaro quali conseguenze pratiche sul piano politico possano derivare dalla pressione del Covid e dell’andamento dell’economia, ma è lecito aspettarsi mesi di tensione politica in vista del Congresso, che si manifesteranno in un aspro confronto per le nomine nelle posizioni apicali del Partito.