L’attuale “ritorno di fiamma” della vicenda Datagate, che all’inizio dell’estate aveva provocato forti imbarazzi all’amministrazione statunitense e aperto un fronte di acuta tensione nelle relazioni con la Russia, rischia di avvelenare ulteriormente i rapporti già non facili fra Washington e i suoi partner. Dopo le divergenze emerse in merito alle modalità di gestione della crisi siriana e dopo le perplessità sollevate dalla scelta del presidente e del suo entourage di affrontare “di petto” le resistenze del Congresso (a maggioranza repubblicana) sul tema del tetto del deficit federale, le nuove rivelazioni sulle attività della National Security Agency (NSA) e, in particolare, sulle attività di spionaggio da questa poste in essere ai danni di leader e di governi “amici” rischiano di approfondire il divario che sempre più chiaramente sembra separare gli Stati Uniti dai loro tradizionali alleati europei. Nel giro di pochi giorni, le notizie trapelate in merito a queste attività hanno provocato pesante risentimento in Francia (già critica riguardo alla politica “di compromesso” adottata da Washington in Medio Oriente), in Germania (che, negli ultimi anni, ha accentuato le sue ambizioni egemoniche nel teatro europeo, spesso in velata competizione proprio con gli Stati Uniti) e, seppure in misura minore, in Italia, che anche nel recente passato aveva fatto della ricerca di una (peraltro problematica) “relazione privilegiata” con gli USA uno dei pilastri della propria azione internazionale. Le ricadute immediate non appaiono, tuttavia, l’aspetto più problematico della vicenda. L’eredità più duratura delle polemiche che essa ha sollevato sembra anzi destinata a esprimersi fuori dall’Europa, nella rete di relazioni sui cui l’amministrazione Obama ha cercato di ridefinire la propria postura internazionale.
Pur non coinvolgendoli in maniera diretta, le iniziative degli Stati Uniti nel campo della sicurezza rischiano, infatti, di alimentare i timori di una lunga serie di paesi, primi fra tutti quelli del delicato scacchiere asiatico. Ciò vale tanto per realtà come il Giappone o la Corea del Sud, che intrattengono solide relazioni con Washington sin dall’inizio degli anni Cinquanta ma che potrebbero essere in qualche modo contagiati dalla “sindrome europea”, anche alla luce del “riallineamento geopolitico” che stanno sperimentando e della relativa autonomizzazione che lo accompagna, quanto per realtà come la Cina e, per certi aspetti, l’India, che con gli Stati Uniti coltivano un rapporto più complesso, permeato da una parte da una certa diffidenza, dall’altra (almeno allo stato attuale delle cose) da considerazioni di reciproco interesse(1). Allo stesso modo, le notizie sulle attività statunitensi hanno comportato la vivace reazione di alcuni paesi dell’America Latina, primi fra tutti il Messico (che tradizionalmente gestisce in maniera difficile la prossimità fisica con il vicino nordamericano e l’influenza da questo esercitata sui suoi equilibri interni) e il Brasile, che, nonostante le difficoltà sperimentate da qualche tempo a questa parte, appare intenzionato ad affermare con crescente concretezza il ruolo politico che la posizione ricoperta in seno al gruppo del BRICs gli assegna “in potenza”(2). Anche la trasversalità di questi timori è significativa. Negli ultimi mesi l’amministrazione USA sembra, infatti, essere riuscita (forse per la prima volta dall’inizio della sua parabola politica) a coagulare un effettivo “consenso trasversale”, pur se in chiave più o meno apertamente antagonista. Per chi – in Europa soprattutto – continuava a confidare in Barack Obama per ristabilire su basi più solide un rapporto transatlantico percepito come ormai logoro, è questa, forse, la fine delle illusioni. Un simile giudizio merita, tuttavia, di essere oggetto di qualche considerazione più ampia.
L’estensione del controllo esercitato dalle strutture statunitensi su paesi e leader ritenuti, per una ragione o per l’altra, “sensibili”, e l’ampio lasso di tempo per cui tale controllo è stato esercitato pongono, infatti, la questione della politica di sicurezza di Washington e delle forme e dei modi in cui essa si esprime in una prospettiva che in larga misura esula dalle scelte e dalle responsabilità dell’amministrazione Obama. Piuttosto, la sua azione e la sostanziale continuità che la lega a quanti l’hanno preceduta confermano in maniera evidente come la tendenza alla securitizzazione dei rapporti internazionali costituisca una direttrice che, nel corso degli ultimi dieci/quindici anni, ha acquisito un peso crescente nella cultura e nella sensibilità politica americana, aggregando intorno a sé un consenso sostanzialmente bipartisan. Da un altro punto di vista, gli stessi elementi confermano quella che appare come la linea di lungo periodo alla rinazionalizzazione dell’agenda politica che – seppure con diversi gradi d’intensità – ha caratterizzato la posizione statunitense in tutto il periodo del post-guerra fredda. In questo senso, un rapporto di sostanziale continuità lega la posizione di Obama oggi a quella dei suoi predecessori in passato, pur tenendo conto delle differenze di tono e di linguaggio che, soprattutto nella fase iniziale del suo primo mandato, erano sembrati avvalorare l’idea di una drastica sterzata in senso collaborativo dell’azione del nuovo presidente dopo le tensioni (reali e presunte) che avevano caratterizzato gli anni del suo predecessore. Anche il diverso, più rigido atteggiamento che la Casa Bianca ha assunto davanti alle rivelazioni delle ultime settimane rispetto a quello adottato nel primo emergere della vicenda, all’inizio dell’estate, sembra potere essere spiegato con il più evidente impatto interno dell’originaria vicenda Prism rispetto a quello che possono avere le attuali rivelazioni, la cui valenza è soprattutto esterna(3).
Concretamente, appare improbabile che questi sviluppi abbiano, nel breve periodo, ricadute critiche sul sistema delle relazioni fra gli Stati Uniti e i loro partner. Il sistema di mutui coinvolgimenti che sembra emergere, unito alle iniziative conciliatorie adottate dalla Casa Bianca spinge, al contrario, nel senso di una composizione della fase acuta dalla crisi(4). Inoltre, le parti condividono il bisogno di un rapido superamento delle loro divergenze pubbliche. Com’è stato rilevato riguardo alle relazioni fra Europa e Stati Uniti «l’assoluta impossibilità d’ignorare le interdipendenze economiche e l’affinità politico-culturale [con gli Stati Uniti] fa sì che i due partner rassomiglino [a] “una coppia in litigio perenne, che non si lascerà mai”»(5). Osservazioni simili possono essere ripetute – mutatis mutandis – per altri paesi. Più difficile da sanare sarà, invece, la sensazione di fondamentale debolezza che Washington ha dimostrato anche in quest’occasione. Una debolezza che ha molte sfaccettature: dalla vulnerabilità alle fughe di notizie alla difficoltà di gestirne le conseguenze in maniera chiara, sollecita e univoca, all’incapacità d’instaurare con i partner un rapporto non intrinsecamente caratterizzato da diffidenze, riserve e ambiguità. Da questo punto di vista, è opportuno chiedersi se dietro la politica di ripiegamento che Barack Obama ha perseguito nel corso degli ultimi anni non si collochi anche, in qualche maniera, una percezione forse inconsapevole di tale stato di cose. Una percezione che, se da una parte dà legittimità alla scelta strategica dell’understretching. dall’altra contribuisce a inquadrare quest’ultima in una prospettiva che supera le difficoltà economiche con-tingenti e che la proietta verso un orizzonte temporale di lungo periodo. Con tutte le implicazioni che ciò può avere sugli sviluppi futuri della scena internazionale.
1. Per le reazioni dell’Asia alle notizie sulle attività della NSA cfr., ad es., Z. KECH, Outrage Over NSA Spying Spreads to Asia, «The Diplomat», 31 ottobre 2013, http://thediplomat.com/the-editor/2013/10/31/outrage-over-nsa-spying-spreads-to-asia/ (accesso: 01.11.2013); sui benefici che la Cina potrebbe trarre dalla vicenda cfr., spec., B.P. O’REILLY, China to reap harvest of NSA scandals, «Asia Times», 31 ottobre 2013, http://www.atimes.com/atimes/China/CHIN-01-311013.html (accesso: 01.11.2013); sulla posizione ambigua dell’India cfr. A. NORTH, NSA leaks helping India become 'Big Brother' state?, BBC News, 31 ottobre 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-india-24753696 (accesso: 01.11.2013).
2. Sui problemi interni del Brasile cfr. J. LEAHY, Brazil tries to fill the potholes in its path to growth, «Financial, Times», 18 giugno 2013; cfr. anche Has Brazil blown it?, «The Economist», 28 settembre 2013. Sulle ambiguità, sui limiti delle relazioni fra Stati Uniti e Messico, e sui tentativi dell’amministrazione Obama di riportare tali relazioni su binari più solidi cfr., recentemente, V. GUILAMO-RAMOS - J.A. MIRANDA LÓPEZ, The U.S. and Mexico Have Much to Learn from Each Other, «The Huffington Post», 28 luglio 2013, http://www.huffingtonpost.com/vincent-guilamoramos/us-mexico-relations_b_3347068.html (accesso: 01.11.2013).
3. Una dettagliata copertura dalla vicenda Prism è nella sezione “The NSA Files”, dell’edizione on line del quotidiano «The Guardian», http://www.theguardian.com/world/the-nsa-files (accesso: 01.11.2013). Per un’analisi della vicenda e dei suoi legami con i problemi della sicurezza USA cfr. D. BORSANI, Datagate. La linea sottile fra sicurezza e libertà, ISPI Com-mentary, 10 giugno 2013, https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/commentary_borsani_10.06.2013.pdf (ac-cesso: 01.11.2013); idem, cfr. G. PASTORI, Cultura e imperativi della sicurezza, «T-Mag - Il Magazine di Tecnè», 20 giugno 2013, http://www.t-mag.it/2013/06/20/cultura-e-imperativi-della-sicurezza/#! (accesso: 01.11.2013).
4. G. DYER, Obama considering end to US spying of allied leaders, «Financial Times», 29 ottobre 2013; M. LANDLER - D.E. SANGER, Obama May Ban Spying on Heads of Allied States, «The New York Times», 29 ottobre 2013; D. JACKSON, Obama weighs surveillance policy on allies, «USA Today», 29 ottobre 2013, http://www.usatoday.com/story/news/politics/2013/10/29/obama-national-security-agency-angela-merkel/3294411/ (accesso: 01.11.2013).
5. Relazioni transatlantiche al calor rosso: negoziati commerciali e Datagate, «Europae. Rivista di Affari Politici Europei», 30 ottobre 2013, http://www.rivistaeuropae.eu/estei/esterni/relazioni-transatlantiche-al-calor-rosso-negoziati-commerciali-e-datagate/ (accesso: 01.11.2013).
Gianluca Pastori, è professore Aggregato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.