Le Zone Economiche Speciali (ZES) – aree limitate geograficamente dove i governi facilitano le attività industriali tramite incentivi fiscali e normativi con infrastrutture a supporto – sono ampiamente usate nella maggior parte delle economie in via di sviluppo, e in molti Paesi sviluppati. Sono quindi diventate uno strumento di sviluppo economico sempre più importante nel mondo. La loro creazione, per lo più sporadica negli anni ’70 e ’80, si è sviluppata soprattutto tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000; più recentemente, si è verificata una nuova ondata di ZES, soprattutto nelle economie emergenti e in via di sviluppo. In tutto il mondo i governi, messi alla prova dalla crescente competizione globale per attrarre attività industriali e dalla sempre maggiore importanza delle catene globali del valore (GVCs), hanno trovato in queste zone speciali uno strumento per incoraggiare l’innovazione, la produttività e la crescita economica. Le stime attuali indicano come ci siano oltre 5.400 ZES al mondo (Fig. 1), mentre molte altre sono in fase di realizzazione o di pianificazione.
Fig. 1 – Evoluzione globale delle ZES
Definizioni e tipologie
Le ZES possono avere differenti denominazioni e caratteristiche. In comune vi è però che, all’interno di un perimetro ben definito, esse prevedono un regime regolatorio per imprese e investitori diverso da quello normalmente applicato nel più ampio contesto nazionale (o subnazionale) dell’economia in cui si trovano. Nonostante questa definizione piuttosto ampia, nella realtà le ZES possono essere estremamente variegate, con peculiarità che dipendono dal tipo di attività economica su cui si focalizzano. Tuttavia, alcuni aspetti sono comuni a tutte le Zone Economiche Speciali:
- Un’area geografica limitata, che distingue le ZES dai distretti industriali o dai poli di sviluppo, i quali possono invece estendersi su più località;
- Un regime regolatorio diverso per imprese e investitori, separato da quello che si applica a livello nazionale o regionale;
- Diverse aziende coinvolte, aspetto che separa le ZES da zone caratterizzate da una sola, grande azienda;
- Una diversa politica territoriale che prevede, ad esempio, un regime doganale diverso o procedure facilitate per le esportazioni;
- Offerta di infrastrutture più efficienti, che puntano a supportare le aziende e gli operatori delle zone. Tra esse quelle immobiliari, stradali, energetiche, idriche e di telecomunicazione.
Le tipologie più comuni di ZES sono le diverse categorie di zone franche, che consistono sostanzialmente in regimi doganali separati. Oltre alla riduzione di dazi e tariffe, la maggior parte di queste zone offre anche incentivi fiscali; regolamenti a misura delle imprese per quanto riguarda la gestione dei terreni, i permessi e le licenze, o le regole di assunzione; facilitazioni e semplificazioni di tipo amministrativo. La presenza di infrastrutture costituisce poi un ulteriore aspetto cruciale, soprattutto nei Paesi emergenti, dove la dotazione di infrastrutture per le imprese al di fuori di queste aree è spesso scarsa.
I parchi industriali comuni, che sono ormai diffusi in quasi tutti gli agglomerati urbani soprattutto nelle economie avanzate, hanno un’area chiaramente definita e possono anche disporre di infrastrutture di base offerte dall’ente pubblico, ma non offrono alcun tipo di regime normativo speciale o incentivi. Allo stesso modo, i parchi scientifici, che sono assai popolari nei Paesi sviluppati (all’interno dell’UE se ne contano ormai oltre 360) occupano anch’essi un’area ben definita e dispongono di infrastrutture di sostegno alle loro attività. A differenza dei parchi industriali, essi sono istituiti dal settore pubblico, o semi-pubblico, per sviluppare la concentrazione e attirare aziende nei settori hi-tech o per far crescere start-up legate alle istituzioni di ricerca universitarie. Come i parchi industriali, però, anch’essi non offrono normalmente esenzioni da obblighi fiscali, doganali, o da altri oneri normativi.
Fig. 2 - Scopo e definizione delle ZES
Una panoramica geografica
Seppure le ZES siano largamente diffuse, un ristretto gruppo di Paesi ne contiene la maggior parte. La sola Cina conta più della metà di tutte le zone economiche speciali del mondo. Altri Paesi con numeri elevati di ZES sono l’India, gli Stati Uniti, e le Filippine. La concentrazione di ZES avviene anche a livello regionale. Perfino a livello delle stesse ZES si può osservare una forte tendenza alla concentrazione: poche grandi zone economiche speciali attirano la gran parte degli investimenti e generano un’ampia fetta degli export di un Paese, mentre molte altre, spesso più piccole, restano inattive. Nonostante ciò, anche una o due ZES sono in grado di avere un impatto molto significativo sugli Investimenti Diretti Esteri (IDE) e sulla capacità di esportazione di un’economia.
Tre gruppi diversi di economie posseggono una densità relativamente bassa di ZES. La maggior parte delle economie avanzate, infatti, non presenta alcuna ZES, fatto salvo per alcuni programmi di zone franche. L’ambiente economico in questi Paesi è ritenuto sufficientemente attrattivo, ed in molti casi offre già diversi schemi alternativi per facilitare il commercio nelle catene del valore transnazionali, tra cui restituzioni dei dazi e depositi doganali. Inoltre, le economie caratterizzate da una geografia problematica – soprattutto i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) – dispongono di uno spazio assai limitato per la creazione di tali zone, e la loro posizione rende spesso poco praticabile lo sviluppo di un’industria manifatturiera destinata all’export. Infine, le economie con risorse insufficienti o prive di un quadro istituzionale e di governance efficace tendono anch’esse ad avere meno ZES; la moltiplicazione di zone spinta dagli IDE o dall’assistenza allo sviluppo, tuttavia, ha ridotto questi ostacoli.
Tab. 1 - Numero di ZES per regione, 2019
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Numero totale di SEZ |
… di cui in fase di sviluppo |
Ulteriori ZES pianificate |
Mondo |
5.383 |
474 |
507 |
Economie avanzate |
374 |
5 |
.. |
Europa |
105 |
5 |
.. |
America del Nord |
262 |
71 |
.. |
Economie emergenti |
4.191 |
135 |
362 |
Asia |
4.046 |
371 |
419 |
Asia Orientale |
2.645 |
13 |
.. |
Cina |
2.543 |
13 |
.. |
Sud-Est Asiatico |
737 |
167 |
235 |
Asia Meridionale |
456 |
167 |
184 |
India |
373 |
142 |
61 |
Asia Occidentale |
208 |
24 |
.. |
Africa |
237 |
51 |
53 |
America Latina e Caraibi |
486 |
28 |
24 |
Economie in transizione |
237 |
18 |
5 |
Memorandum |
|
|
|
LDCs |
173 |
54 |
140 |
LLDCs |
146 |
22 |
37 |
SIDS |
33 |
8 |
10 |
Fonte: UNCTAD (2019)
Note: LDC = Paesi meno sviluppati, LLDC = Paesi meno sviluppati senza sbocchi sul mare, SIDS = Piccoli stati insulari in via di sviluppo.
La grande popolarità delle ZES
In cambio delle concessioni in materia doganale, fiscale, e normativa – oltre che delle misure di sostegno alle imprese, agli investimenti in infrastrutture – i governi si aspettano che gli investitori che operano nelle ZES creino posti di lavoro, trainino la crescita delle esportazioni, diversifichino l’economia e creino capacità produttiva.
Nonostante vi siano dati contrastanti sulla capacità effettiva delle ZES di raggiungere questi risultati, esse rimangono una delle scelte più popolari presso i decisori politici che si occupano di politica industriale e di investimenti, soprattutto nei mercati emergenti. Diverse sono le ragioni alla base di tali scelte.
Primo, la relativa facilità di implementare riforme aziendali attraverso le ZES. Nei Paesi in via di sviluppo, dove la governance è relativamente debole e dove l’implementazione di riforme sull’intero territorio nazionale risulta complessa, le ZES sono spesso viste come l’unica opzione percorribile, o come il primo passo. Secondo, il basso costo percepito per istituire le ZES. Un fondamento chiave delle ZES è il loro basso costo in termini relativi, se comparato a quello di infrastrutture industriali equivalenti nell’intera economia. Tuttavia, gran parte dei costi delle ZES è rappresentata dalla perdita di introiti futuri dovuta agli incentivi concessi, che può costituire un ammontare significativo di entrate perdute. Terzo, la crescente pressione competitiva a livello globale: in risposta ai ristretti spazi disponibili nei mercati per investimenti in attività industriali, molti governi continuano a rendere attrattivi i propri programmi di promozione degli investimenti tramite la realizzazione di nuove ZES.
Sfide e aspetti critici
Il prolungato entusiasmo mostrato dai governi di tutto il mondo nei confronti delle ZES non corrisponde però all’impatto economico di queste ultime, che è spesso dubbio. Nei Paesi emergenti che seguono strategie di sviluppo improntate all’export, vi sono diversi esempi di ZES di grande successo, le quali hanno giocato un ruolo chiave nella trasformazione industriale. Tuttavia, pure in queste economie, abbondano gli esempi di zone che non sono state in grado di attirare i flussi attesi di investitori, o che lo hanno fatto solo con forte ritardo. Nelle economie meno sviluppate, si osservano ancora più casi di zone che, una volta istituite per legge, sono rimaste sulla carta – o comunque sottosviluppate – per decenni. Lo stesso universo attuale delle ZES include molte zone che non hanno raggiunto il pieno sviluppo. Anche dove le zone hanno avuto successo nel generare investimenti, occupazione ed esportazioni, i benefici all’economia nel suo complesso – una componente fondamentale della loro istituzione – sono stati spesso difficili da quantificare; molte zone operano infatti come enclaves, con ridotti legami ai fornitori locali, e di conseguenza generando poche esternalità positive.
Oltre ai dubbi sui loro benefici economici, le ZES sono state spesso oggetto di critiche per la mancata adesione a standard sociali e ambientali adeguati, un’accusa derivante dal fatto che molte zone di prima generazione hanno spesso perseguito una strategia di attrazione degli investimenti basata su salari bassi e scarse tutele dei lavoratori. La ridotta capacità degli amministratori delle ZES nel monitoraggio e nell’applicazione di standard corporate, ambientali e sostenibili (ESG) significa spesso che, anche dove non sono previste esenzioni, le condizioni lavorative e ambientali lasciano molto a desiderare. Come descritto dal World Investment Report 2020 di UNCTAD, negli ultimi anni è cresciuta l’importanza della sostenibilità aziendale, con approcci multilaterali agli standard ESG che sono cresciuti in scopo (temi e settori coperti), profondità (aziende e stakeholders coinvolti) e focus (dettaglio degli strumenti di gestione, pratiche di audit, e standard di rendicontazione). La sostenibilità è stata altresì riconosciuta come uno dei mega-trends che impatteranno maggiormente la distribuzione della produzione internazionale nel prossimo decennio, favorendo sia la diversificazione per ridurre i rischi legati alle supply chains, sia la regionalizzazione per accorciare le catene del valore, diminuendo così le distanze e riducendo l’impatto ambientale complessivo delle produzioni.
L’imperativo dello sviluppo sostenibile non è però l’unica tendenza futura che impatterà le ZES. Altri due elementi avranno infatti implicazioni ad ampio spettro. Innanzitutto, il rapido progresso tecnologico – ovvero la cosiddetta nuova rivoluzione industriale che riguarda l’adozione di nuove tecnologie digitali, i big data, l’internet delle cose, e la robotica avanzata – sta trasformando i processi produttivi e i modelli aziendali. Secondo, i cambiamenti strutturali a livello internazionale e i crescenti sentimenti protezionistici potrebbero cambiare significativamente i modelli produttivi, andando verso un calo degli IDE nel manifatturiero, un accorciamento delle catene del valore globali e una maggiore rilevanza di quelle regionali.
Tab. 2. Aspetti chiave del successo delle ZES e nuove sfide
Aspetti chiave del successo delle ZES |
Nuove sfide per le ZES |
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Fonte: UNCTAD (2019).
Indicazioni di policy
Grazie alla lunga esperienza e all’ampio uso di ZES, vi è anche una grande quantità di ricerche che ne documentano successi e fallimenti, descrivendo le caratteristiche principali delle zone e analizzandone l’impatto economico, sociale e ambientale, nonché il loro contributo allo sviluppo. Le raccomandazioni di policy tendono a concentrarsi su tre dimensioni: a) il focus strategico delle ZES; b) il quadro normativo e la governance delle ZES; c) il modello della proposta di valore delle ZES, o il pacchetto di benefici per gli investitori.
Ricerche recenti UNCTAD mostrano la convenienza economica di un’inversione dei ruoli: passare da un focus concentrato sui costi ridotti alla creazione di campioni della sostenibilità. In quest’ottica, UNCTAD ha introdotto un modello per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) all’interno delle ZES tramite il World Investment Report 2019.
Le zone a “modello SDGs” sono un concetto nuovo e orientato al futuro, realizzato da UNCTAD per funzionare come un menu di opzioni per attrezzare le ZES all’Agenda 2030, con l’obiettivo principale di renderle funzionali in chiave sostenibile, passando da enclaves privilegiate a benefici diffusi. Concettualmente, le opzioni sono costruite attorno a tre aspetti fondamentali:
- Un focus strategico per attrarre investimenti in settori rilevanti per gli SDGs;
- Il più alto livello di adesione possibile agli standard ambientali, sociali e aziendali (ESG);
- La promozione di una crescita inclusiva tramite collegamenti e spillovers.
I modelli di zone SDG possono aiutare ad attrarre investimenti nei settori più rilevanti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, aiutando ad adottare elevati standard ESG, e promuovendo la crescita inclusiva. Questi modelli possono inoltre agire da catalizzatori per trasformare la “corsa al ribasso” in termini di sostenibilità per attrarre investimenti (grazie a minori tasse, meno regole e standard più bassi), in una gara al rialzo – rendendo così lo sviluppo sostenibile un vantaggio di posizione.
Una dimensione fondamentale è quella degli effetti sociali e ambientali delle ZES. Le pratiche ESG all’interno delle zone stanno migliorando; più della metà delle ZES contattate per un’analisi UNCTAD ha attuato policy e regolamenti ambientali, e alcune hanno adottato standard ambientali internazionali. Inoltre, gli i Parchi Eco-Industriali (EIP) contribuiscono alla circolarità, alla sostenibilità e agli SDG.
Per concludere, le ZES possono fornire un contributo importante alla crescita economica e allo sviluppo. All’interno di queste aree geograficamente circoscritte, i governi facilitano le attività industriali grazie a incentivi fiscali e normativi, e alla disponibilità di infrastrutture. Le zone possono aiutare l’attrazione di investimenti, creare occupazione e sostenere l’export – sia direttamente sia indirettamente, con un grande potenziale per creare collegamenti con le economie nazionali. Possono, inoltre, supportare l’integrazione delle catene globali del valore, l’ammodernamento industriale e la diversificazione. Di fronte alle sfide attuali poste dal Covid-19 all’economia globale e all’ambiente, ZES orientate allo sviluppo sostenibile sono in grado di supportare una ripresa inclusiva: da enclaves privilegiate a benefici diffusi.
Bibliografia
Baissac, C. (2011). “Brief history of SEZs and overview of policy debates”. In T. Farole, Special Economic Zones in Africa: Comparing Performance and Learning from Global Experiences (pp. 23-60). Washington, DC: World Bank.
Bost, F. (2019). “Special economic zones: methodological issues and definition.” Transnational Corporations, 26(2), pp. 141-153.
FIAS. (2008). Special Economic Zones. Performance Lessons Learned and Implications for Zone Development. Washington, DC: FIAS, World Bank.
UNCTAD (2019). World Investment Report 2019: Special Economic Zones. Geneva: UNCTAD.
UNCTAD (2020). World Investment Report 2020: International Production Beyond the Pandemic. Geneva: UNCTAD.
UNCTAD (2021). Handbook on Special Economic Zones in Africa. Towards Economic Diversification across the Continent. Geneva: UNCTAD.
I contenuti di questo commentary si basano sulle fonti incluse nella bibliografia.