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Ispi Watch

Africa: sguardo sulla geo-economia di un continente in crescita

25 giugno 2019

FOCUS - L'Africa si apre, anche a se stessa

L’Africa batte un colpo in controtendenza rispetto alle pulsioni protezionistiche che percorrono il sistema del commercio internazionale. All’inizio di giugno è entrata in vigore l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) a seguito della ventiduesima ratifica depositata da uno dei 52 stati firmatari dell’accordo. La nuova area di libero scambio – una delle più grandi del mondo per numero di economie partecipanti – prevede l’eliminazione di dazi e quote sul 90% delle merci che attraversano i confini interni al continente.

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di Giovanni Carbone, ISPI

 

INNOVAZIONE - African Valleys: il futuro nei poli di innovazione

L’innovazione tecnologica definisce gli orizzonti di sviluppo dell’Africa subsahariana, nonostante la dipendenza dagli investimenti esteri e i deficit infrastrutturali. La diffusione su larga scala di tecnologie mobile, che hanno agevolato la connettività internazionale del continente, ha dato impulso alla proliferazione di start up a forte potenziale di innovazione e impatto sociale, nei settori più disparati: commerciale, medico, energetico, agricolo, educativo. La creazione di poli di innovazione tecnologica – le ‘African Valleys’ – ha riguardato zone e centri urbani in parti diverse della regione. Il Sudafrica, che può contare su una presenza industriale e su una disponibilità infrastrutturale non comparabile a quella diffusa nel resto del continente, ha visto emergere numerosi hub tecnologici, in particolare a Johannesburg (JoziHub) e Città del Capo (Silicon Cape Initiative). Nella città di Nairobi, lo sviluppo della Silicon Savannah, che riunisce circa 300 start up, riflette il ruolo guida del Kenya nei dei processi di innovazione continentale basati sull’utilizzo di tecnologie digitali per l’erogazione di servizi finanziari, dai pagamenti mobile (M-Pesa) ai micro-finanziamenti. La Silicon Valley ghanese ingloba cinque centri di innovazione, fondati su una profonda sinergia tra industrie e università per lo sviluppo di tecnologie mediche, aerospaziali, energie rinnovabili, internet of things. Kigali ospita alcuni tra i poli di innovazione continentali più interessanti (KLab e Impact Hub Kigali), anche grazie all’iniziativa politica del governo rwandese intesa a farne una smart city (la prima a introdurre aree urbane free WiFi, nel 2013). Né poteva mancare la Nigeria, infine: la maggiore economia del continente ha fatto da incubatore per il Co-Creation Hub e, soprattutto, per lo sviluppo delle principali piattaforme di e-commerce nell’area (Jumia, quotata a Wall Street lo scorso aprile). La digitalizzazione in corso in Africa subsahariana, veicolata anche dalla moltiplicazione dei poli di innovazione tecnologica e dallo sviluppo di interconnessioni virtuose tra imprese, istituzioni e centri di ricerca scientifica, può offrire un contributo importante nell’affrontare le sfide dello sviluppo e nel rispondere alle sollecitazioni dei mercati globali affinché le economie africane diventino più competitive.

 

PERCHE' AFRICA WATCH

Con Africa Watch ISPI offre alle imprese italiane interessate allo sviluppo dell'Africa subsahariana informazioni su prospettive e opportunità che emergono sulla scena economica, evidenziando nuovi trend e settori di forte attrazione.

L'INFOGRAFICA

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IL DATO

85 milioni

Il corrispettivo, in tonnellate e in termini di capacità portuale, dei progetti finanziati ogni anno dalla Cina in Africa.

 

 

INFRASTRUTTURE - La scommessa cinese sui porti dell'Africa Orientale

Il rafforzamento delle relazioni economico-commerciali tra Cina e Africa subsahariana passa attraverso lo sviluppo delle infrastrutture portuali. Il 52,8% del totale degli investimenti cinesi nel continente riguarda trasporti e infrastrutture e, secondo uno studio del Centre for Strategic & International Studies, sarebbero 46 i porti finanziati, progettati (e in fase di costruzione) o gestiti da enti cinesi. Snodo cruciale della via della seta marittima (Belt and Road Initiative), i porti costituiscono un’opportunità di investimento strategico. Il coinvolgimento diretto di Pechino garantisce alle navi cinesi un trattamento prioritario a costi minori, assicurando ai trasportatori cinesi un vantaggio competitivo: far giungere, nel minor tempo possibile, volumi crescenti di merci nei mercati europei. In quest’ottica, il porto di Gibuti riveste un’importanza fondamentale. Situato nel Mar Rosso, lungo le rotte marittime che conducono al canale di Suez, Gibuti offre uno snodo essenziale per i collegamenti tanto con i mercati europei quanto con quelli africani. Le manovre politiche di Pechino – che detiene il 77% del debito di Gibuti – sono volte a rafforzare il controllo sulle infrastrutture portuali nazionali per il tramite della compagnia statale China Merchants Group, e hanno alimentato le preoccupazioni dei concorrenti interessati a una presenza commerciale nell’area. L’esempio più eclatante è la disputa tra le autorità nazionali gibutiane e la compagnia emiratina DP World. Grande rilievo simbolico e politico, oltre che economico, hanno assunto anche i progetti di espansione del porto commerciale di Lamu, in Kenya, con un costo di 500 milioni di dollari, e quelli per l’edificazione del porto di Bagamoyo, in Tanzania, con un investimento stimato in 11 miliardi di dollari e la compartecipazione di Tanzania, Cina e Oman: situato a soli 50 chilometri a nord di Dar es Salaam e operativo a partire dal 2022, Bagamoyo diventerà il più grande porto dell'Africa orientale.

 

CLIMATE CHANGE - Dalla Tanzania al Sudafrica più tutele per l'ambiente

Una serie di iniziative politiche e legislative recenti hanno acceso i riflettori sulla crescente attenzione che alcuni stati subsahariani stanno dedicando ai problemi legati al cambiamento climatico. La Tanzania è solo l’ultimo paese della regione, in ordine temporale, ad aver vietato l’impiego di buste di plastica, estendendo il divieto ai turisti a partire dal 1 giugno. Per gli standard locali, le sanzioni previste non sono trascurabili: fino ad un miliardo di scellini tanzaniani (circa 400 euro) per chi si dedichi alla produzione o all’importazione di sacchetti e involucri di plastica; di circa 80 euro è invece la contravvenzione di chi ne sia trovato in possesso o ne faccia uso. Attualmente, 34 stati africani dispongono di una normativa che vieta l’utilizzo, l’importazione, la produzione o la vendita di sacchetti di plastica. Si tratta di divieti volti a contrastare le pesanti conseguenze dell’inquinamento da plastica sugli ecosistemi locali. Se in alcuni paesi, come in Rwanda e in Kenya, le nuove regole hanno avuto grande efficacia, in altri stati si sono incontrate maggiori difficoltà nel dare concreta attuazione al sistema di pene e contravvenzioni. Tuttavia, è significativo che l’Africa emerga in prima linea nella lotta alla diffusione di plastiche monouso. Altrettanto significative risultano le misure normative adottate per incentivare la riduzione delle emissioni inquinanti da parte delle imprese: a fine maggio, il governo di Cyril Ramaphosa, in Sudafrica, ha promosso l’adozione di una carbon tax – 120 rand (poco più di 8 dollari) per tonnellata di diossido di carbonio durante una prima fase, tra il giugno 2019 e dicembre 2022, destinata plausibilmente a essere innalzata nella seconda fase (2023-2031). L’obiettivo, in questo caso, è quello di favorire una riduzione dei livelli di gas serra nell’economia più industrializzata a sud del Sahara.

 

GLOBAL CITIES - Urbanizzazione impetuosa a sud del Sahara 

Secondo le stime delle Nazioni Unite, la popolazione africana raggiungerà i 2,5 miliardi di individui nel 2050, e già nel 2030, la popolazione urbana nel continente eccederà il miliardo, superando quella rurale. Molte tra le più grandi città del mondo saranno in Africa, con conseguenze importanti sull’incremento delle aree di marginalità socio-economica e di informalità abitativa. Le dinamiche di urbanizzazione africane, dunque, necessitano di essere gestite in modo da contenerne le distorsioni, attraverso una crescita economica il più inclusiva possibile, la riallocazione delle attività economiche verso i settori più produttivi, politiche di job creation, innovazione tecnologica, investimenti massicci in educazione e formazione del capitale umano, e potenziamento delle ancor fragili infrastrutture della regione. Tra gli Stati africani maggiormente investiti dai processi di rapida urbanizzazione c’è la Costa d’Avorio, che ha visto la decisa crescita economica registrata negli ultimi anni (il 7,8% nel 2018) combinarsi con una quota di popolazione urbana arrivata al 50%. Abidjan, centro nevralgico dell’economia nazionale, è una delle città africane destinate a espandersi più rapidamente nei prossimi anni. Ma la metropoli ivoriana sconta i limiti di una crescita non adeguatamente sostenuta da interventi infrastrutturali e redistributivi in grado di contenere le disuguaglianze e favorire uno sviluppo sostenibile. L’erosione progressiva delle risorse e la strutturale scarsità di acqua per le popolazioni locali, accanto ai deficit infrastrutturali che ostacolano la mobilità urbana, ben esemplificano le complesse sfide da affrontare nel governare i processi di urbanizzazione in Africa.

 

L'EVENTO 

Expo della Cooperazione Internazionale

Si è tenuta a Roma, tra il 15 e il 17 maggio, EXCO 2019 con la partecipazione di 31 Stati africani e del vice-ministro degli Esteri Emanuela Del Re.

IL VIDEO 

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IL PERSONAGGIO

 Mohamed Ould Ghazouani

Neo-eletto Presidente alle elezioni del 22 giugno in Mauritania

 

 

ETIOPIA - Un player continentale in continua crescita

I cambiamenti politici ed economici in corso in Etiopia hanno consolidato le prospettive di sviluppo di un paese che si sta sempre più affermando come una delle maggiori potenze continentali. Il tasso di crescita del Pil resta tra i più elevati al mondo (9,1% medio tra il 2000 e il 2018, con un 8,5% medio atteso per il 2019-2020) e potrebbe ulteriormente beneficiare delle liberalizzazioni – in alcuni settori strategici controllati dallo governo – annunciate dal nuovo primo ministro Abiy Ahmed. I piani di privatizzazione, parziale o totale, di alcune delle principali aziende statali nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, del trasporto aereo, rappresentano un segnale politico della volontà di riformare il sistema economico etiope, riducendo il controllo statale diretto e aumentando gli spazi per il libero mercato. Un’importanza particolare, nelle strategia di Addis Abeba, è ricoperta dallo sviluppo dei parchi industriali, che contribuiscono ad attrarre investimenti (soprattutto nel settore tessile), a diversificare gradualmente l’economia e a creare nuovi posti di lavoro. Il governo ha messo in cantiere il lancio di 30 nuovi parchi industriali entro il 2025, destinandovi 1,3 miliardi di dollari, in modo da accelerare la conversione di un’economia ancora prevalentemente rurale con l’ampliamento di manifattura e servizi. Assieme alle iniziative di ristrutturazione dell’economia, le aperture del sistema politico alle opposizioni, l’adozione di misure di gender empowerment (l’Etiopia ha da un anno un presidente donna, ed è la prima volta che accade) e l’attivismo diplomatico di Abyi per la risoluzione di conflitti che attraversano il Corno d’Africa (il primo ministro è stato chiamato anche a mediare le tensioni che, più a Nord, stanno lacerando il Sudan) confermano le ambizioni di Addis Abeba di essere uno dei paesi leader del continente.

 

SUDAN - Quale il costo delle rivolte per l'economia?

La rivoluzione sudanese, che ad aprile ha determinato la caduta del regime autoritario di Omar al-Bashir, è entrata in una fase politica di grande incertezza, in ragione del peso politico avocato dai militari nelle dinamiche della transizione. Nelle ultime settimane, la violenta repressione delle proteste ha materializzato il rischio di una contro-rivoluzione a opera delle forze militari. In particolare, il ruolo politico crescente di esponenti degli apparati di sicurezza legati a doppio filo al regime di Bashir – tra cui il generale ‘Hemedti’, a capo delle ormai famigerate Rapid Support Forces – suscita preoccupazione, lasciando presagire lo sviluppo di uno scenario affine a quello egiziano. In un Paese attraversato da fratture sociali profonde, l’attuale crisi politica sta originando importanti ripercussioni economiche. Le proteste, innescate da un’ondata di inflazione che ha interessato soprattutto i generi di consumo, hanno prodotto una contrazione delle attività economiche e accentuato la scarsità di beni essenziali. Ad aggravare le preoccupazioni, le difficoltà del sistema bancario in crisi di liquidità, e la scarsità di valuta estera, nonostante Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si siano impegnati a erogare prestiti per circa 3 miliardi di dollari. Il collasso dei sussidi statali a sostegno delle attività produttive appesantisce la situazione di bisogno per le popolazioni locali. Alla repressione delle proteste da parte del Comitato Militare di Transizione, che ha causato 118 morti e centinaia di feriti a Khartoum, le opposizioni hanno risposto invitando la popolazione sudanese alla disobbedienza civile, paralizzando di fatto le attività produttive e accentuando la pressione sulle autorità militari. La mediazione del Primo Ministro etiope Abiy Ahmed potrebbe favorire l'apertura di un margine negoziale tra le parti, ma il futuro della rivoluzione in Sudan resta pericolosamente in bilico.

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A cura dell’Osservatorio Geoeconomia dell’ISPI

supervisione scientifica: Giovanni Carbone, Head, Africa Programme  

ricerca e redazione: Camillo Casola, Associate Research Fellow, Africa Programme

 

Coordinamento editoriale
Sara Cristaldi, Senior Advisor, Co–Head Osservatorio Geoeconomia

 

Coordinamento redazionale
Alberto Belladonna, Research Fellow, Osservatorio Geoeconomia


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