Il Regno Unito ha saputo reagire meglio di altri paesi europei ai cambiamenti demografici degli ultimi decenni. Il partito laburista, che già nel 1987 riuscì a far eleggere quattro parlamentari appartenenti a minoranze etniche, si è battuto negli ultimi tredici anni di governo per porre i concetti di multiculturalità e diversity al centro delle riforme di ogni area della pubblica amministrazione.
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Con questa undicesima edizione l'annuario dello Iai e dell'Ispi cambia titolo, con l'obiettivo di concentrare le analisi e i commenti quasi esclusivamente sul ruolo del nostro Paese in un mondo che cambia. Il volume prende in esame gli avvenimenti dell'anno 2009 ed ha una nuova struttura: un ampio capitolo introduttivo, corredato da una serie di grafici e tabelle analitiche, offre un quadro complessivo degli interessi, priorità e principali iniziative dell'Italia in campo internazionale.
The Uyghurs, a Turkich-speaking Muslim population who lives in the Xinjiang Uyghur Autonomous Region (Xuar), are an official ethnic minority of the People's Republic of China.
La cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” del 2005 – che vide la caduta del primo presidente post-sovietico Askar Akaev – è stata considerata da alcuni come l’equivalente centrasiatico delle rivoluzioni colorate di Georgia e Ucraina. A Bishkek, peraltro, la prospettiva di un processo di democratizzazione secondo i parametri occidentali si è rivelata ancora più deludente che a Kiev e Tbilisi.
Siamo solo all’inizio di un conflitto e il caso Google-Cina rappresenta uno dei più importanti episodi della guerra che stiamo vivendo in questi anni. Questa guerra ha tre caratteristiche: è coperta, è asimmetrica ed è globale.
Twitter Revolution, è il nome che la stampa internazionale ha dato alla nuova ondata di proteste nella Repubblica Islamica. Thomas Friedman, noto editorialista di quotidiani americani fra i quali «International Herald Tribune» e «The New York Times», in un suo articolo dedicato proprio all’importanza di Facebook in merito alle recenti vicissitudini iraniane, definisce il social network «una moschea virtuale».
Chi guardava a Internet negli anni Novanta non poteva che considerare la Rete un potente strumento per diffondere idee e opinioni, incluse quelle critiche o eterodosse, in particolar modo all’interno di quei paesi che concedevano uno spazio esiguo o nullo al dissenso interno. Ma all’aumentare della diffusione di questo nuovo mezzo di comunicazione di massa era inevitabile che i regimi autoritari si interessassero del fenomeno e tentassero di ricondurlo sotto il loro controllo.
Il 2009 è passato alla storia come l’anno in cui un popolo, quello iraniano, ha tentato di opporsi al regime usando per la prima volta la potenza dei social network per organizzarsi e far sentire la propria voce al resto del mondo. Se quella formidabile richiesta d’aiuto è per ora caduta nel vuoto, la colpa non è certo della Rete, ma delle timidezze e degli equilibrismi dei governi occidentali che nel migliore dei casi hanno preferito limitarsi a generiche condanne delle violazioni dei diritti umani.
Per la politica estera italiana la vittoria elettorale del centro-destra nelle elezioni del 2008 è stata una sorta di mini-restaurazione. Il governo ha corretto le “deviazioni” del governo Prodi là dove il ministro degli Esteri Massimo D’Alema si era maggiormente distinto dalla linea perseguita nella legislatura precedente, vale a dire nel campo dei rapporti con il mondo arabo-musulmano, e ha dovuto tenere conto della vittoria di Barack Obama nelle elezioni presidenziali americane.
Non c’è probabilmente paese al mondo che non abbia compiuto all’inizio del 2009 una riflessione su come sarebbe mutato il contesto internazionale per effetto della nuova presidenza americana e quali conseguenze ciò avrebbe comportato nella definizione della politica estera di ciascuno. L’Italia non ha fatto eccezione.