Dopo l’intervento militare in Libia nel 2011 contro il regime di Muammar Gheddafi, Francia e Gran Bretagna sembrano apprestarsi ad un nuova azione contro il regime di Bashar al-Assad in Siria. I due paesi hanno chiaramente dichiarato che procederanno anche nell’eventualità, piuttosto probabile, che non vi sia un mandato dell’Onu. Che ciò costituisca un bluff o una reale intenzione non cambia di molto la valenza politica dell'azione di Hollande e Cameron.
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La crisi siriana ha raggiunto negli ultimi mesi dimensioni raramente ipotizzabili all’inizio delle sollevazioni popolari scoppiate nel 2011. Il conflitto, oltre ad aver mietuto ormai più di centomila vittime come attestato dalle stime fornite dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha spinto un numero crescente di cittadini siriani ad abbandonare le proprie case per trovare rifugio in aree meno colpite dalla violenza o all’estero.
Le primavere arabe del 2011 hanno colto l’amministrazione americana impreparata. L’eredità raccolta dalla presidenza Bush nella politica mediorientale gravitava intorno a spazi geopolitici diversi: il cuore e imbuto della penisola arabica rappresentati dall’Iraq, la periferia est del Medio Oriente “allargato” dove la priorità è stata la stabilizzazione dell’Afghanistan e sullo sfondo l’annosa questione palestinese.
Oltre 700 vittime “ufficiali” – molte di più secondo fonti informali – sono un punto di partenza obbligato per qualsiasi analisi si ponga l’obiettivo di scrutare quali possibili esiti possa produrre la crisi in cui l’Egitto è sprofondato dalla deposizione di Mohammed Morsi.
Uno dei processi più importanti nella storia della Turchia si è concluso pochi giorni fa a Istanbul. Ergenekon, nome che rimanda alla leggendaria patria natale del popolo turco, è il processo più grande e delicato che il paese abbia affrontato, con 275 imputati dei quali 17 sono state condannate all’ergastolo, la maggior parte condannate a diversi anni di prigione (da 1 a 35) e solo 12 sono state dichiarate innocenti. Molti dei condannati sono ex-generali e membri dell’esercito, giornalisti, accademici, avvocati e politici.
In July 2012 the first democratic elections for a parliament, the General National Congress, took place. This was a milestone in the development of the new Libya. But now, one year later, how does the country look like? Unfortunately the situation developed exactly as predicted [1]. In order to understand this better it is at first necessary to analyze the objectives and the “strategy” of the major players.
Dopo la guerra-lampo, elezioni-lampo. Ma non è che una mera questione di simboli. Il 26 luglio scorso il Mali ha votato, ma chi ha vinto davvero questo primo turno di presidenziali è la Francia di Francoise Hollande. Hollande l’Africano, come lo canzona parte della stampa francese. Lo smacco agli Stati Uniti è palese, bruciante.
Sono due le incognite principali che circondano il “nuovo corso” della politica iraniana. Al di là dei desiderata occidentali, soprattutto dei media, che nelle ultime settimane si sono prodigati in elogi del nuovo presidente “moderato”, le tendenze a cui guardare sono, da una parte, la durata della luna di miele tra Hassan Rouhani e la Guida suprema Khamenei e, dall'altra, la capacità da parte della comunità internazionale – soprattutto Stati Uniti e Israele – di cogliere l'opportunità apertasi con quella che appare di fatto come una volontà di apertura da parte della Repub
Dopo tre anni di silenzi, di accuse reciproche, nonché di una nuova sanguinosa guerra a Gaza risolta attraverso la mediazione egiziana, Tel Aviv e Ramallah ritornano a dialogare. La cosiddetta shuttle diplomacy di kissengeriana memoria, rispolverata nell’occasione da John Kerry, sembra aver prodotto un certo barlume di speranza nella storica disputa che, in caso di buon esito, rappresenterebbe il più grande successo di qualsiasi amministrazione Usa: la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
Gli attacchi che hanno sconvolto l’Iraq nelle ultime settimane sembrano esser riusciti a rompere il velo di indifferenza calato sul paese in seguito al ritiro delle forze statunitensi del dicembre 2011.