C’è una battuta che circola in questi giorni nelle piazze ribelli d’Egitto. «Del primo presidente ci siamo liberati in diciassette giorni, del secondo in quattro, per il terzo basterà un tweet» scherzano i giovani protagonisti dello tzunami politico che loro chiamano rivoluzione contro i Fratelli Musulmani e molti, all’estero, colpo di stato militare.
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«Speriamo che questo segni la fine del cosiddetto ‘Islam politico’», è il commento sugli eventi degli ultimi giorni in Egitto di un amico che vive al Cairo da molti anni e che, pur essendo un profondo conoscitore dell’Islam, ne ha sempre guardato con diffidenza le ambizioni politiche. Sono in molti a pensarlo, e ad auspicarlo.
Mentre la comunità internazionale segue con preoccupazione l’evoluzione degli eventi in Egitto, dall’Arabia Saudita sono giunte le congratulazioni di re Abdullah al nuovo presidente egiziano ad interim Adly Mansour. Il regime di Riyadh può finalmente tirare un sospiro di sollievo.
La destituzione del presidente egiziano Mohammed Morsi ha aperto un nuovo spazio politico per le opposizioni. Dopo la nomina del presidente della Corte costituzionale, il giudice Adli Mansour, come presidente della Repubblica ad interim, si avvia una fase in cui tecnici e politici laici avranno l’opportunità di partecipare alla gestione politica.
In an admirable show of determination, the Egyptian youth through the rebel movement, "Tamarod," mobilized tens of millions of Egyptians to restore their freedom and preserve their national character.
I fattori che hanno promosso e portato a termine il cambio di regime in Egitto sono stati la piazza, l’esercito e la Fratellanza Musulmana, che ha vinto le elezioni e ha governato per circa un anno dopo la caduta di Mubarak sotto l’urto delle manifestazioni e dopo l’interludio del governo di una giunta militare in attesa del compimento del processo elettorale. I tre fattori sono ritornati in campo in questi giorni di scontri con un risultato diverso. L’esercito non ha mediato come allora fra la piazza e il potere assicurando in fondo la legalità della transizione.
Si chiamava incoerenza. Il governo dei Fratelli Musulmani proclamava grandi riforme economiche: riguardo alle privatizzazioni e al ruolo dello stato aveva posizioni simili a quelle dei repubblicani americani. Poi non accadeva nulla o pochissimo. Le nuove leggi sui sussidi, sugli investimenti esteri, sul sistema fiscale non hanno mai visto la luce, lasciando le condizioni economiche del paese in uno stato sempre più disperato.
È una brutta pagina quella che è stata scritta in Egitto. Nonostante l’opposizione di piazza a Morsi abbia sostenuto che l’intervento militare interpreta la volontà del popolo, nonostante i vertici religiosi – compreso il grande shaykh di al-Azhar – si siano apparentemente schierati a favore del pronunciamento militare, la defenestrazione del presidente da parte dell’esercito ha tutta l’aria di un vero e proprio golpe.
La piazza ha vinto? Parrebbe di sì a giudicare dall'esultanza con cui è stato accolto l'avvertimento prima, l'ultimatum poi e infine il colpo di stato operato dalle Forze armate al comando del generale el-Sisi.
Ma quale piazza? Ha perso quella della Fratellanza musulmana che pure sarebbe erroneo sottovalutare soprattutto nella prospettiva di nuove elezioni.