Lavrov non va in Serbia dopo lo stop al transito di tre paesi. Voci di accordo fra Mosca, Kiev e Ankara per un corridoio del grano da Odessa, ma Putin avverte l'Occidente: “Nuove forniture a Kiev rischiano di estendere il conflitto”.
Lavrov non va in Serbia dopo lo stop al transito di tre paesi. Voci di accordo fra Mosca, Kiev e Ankara per un corridoio del grano da Odessa, ma Putin avverte l'Occidente: “Nuove forniture a Kiev rischiano di estendere il conflitto”.
Una tregua e una nuova leadership: dopo sette anni di guerra[1], lo Yemen attraversa una fase di opportunità politiche. La tregua nazionale, mediata dalle Nazioni Unite fra tutte le parti in conflitto, è in vigore, per due mesi, dal 2 aprile: nonostante alcune violazioni, la buona notizia è che la tregua sta reggendo e il numero di vittime e feriti civili si è dimezzato dal suo inizio[2].
La decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere il territorio ucraino ha conseguenze che si propagano ben oltre il paese ormai sotto assedio. I duri colpi che le sanzioni infieriscono all’economia di Mosca, e una marginalizzazione politica senza precedenti, sembrano fare terra bruciata intorno al Cremlino e impongono alcuni cambi strategici in politica estera.
La guerra tra Russia e Ucraina, oltre ad avere un impatto significativo in Europa, rischia di travolgere la già fragile situazione economica e politica dei paesi mediorientali. L’Egitto non fa eccezione, anzi si candida a diventare uno degli stati maggiormente colpiti dalle conseguenze economiche del conflitto, con prospettive di peggioramento del quadro generale che potrebbero incidere sulla stabilità stessa del paese.
La formazione di un governo e l’approvazione di un bilancio dopo un lungo periodo di instabilità politica, così come la convergenza di dinamiche regionali e internazionali favorevoli, offrono a Israele l’opportunità di affrontare le sfide interne e di politica estera che lo attendono. Rimangono però notevoli elementi di possibile destabilizzazione, come per esempio la complessità e la fragilità dell’attuale governo e la necessità di rafforzare le carenti strategie perseguite verso le tre principali sfide: l’arena domestica, la questione palestinese e lo scenario iraniano.
Negli ultimi tre mesi la Turchia è stata sotto i riflettori internazionali per la mediazione che sta cercando di portare avanti, con non poche difficoltà, nella guerra tra Russia e Ucraina. Il conflitto ha importanti implicazioni per il paese tanto sul piano interno quanto a livello regionale e nei rapporti di Ankara sia con le parti in conflitto sia con gli alleati della Nato.
Mentre il negoziato sul nucleare iraniano sta affrontando una nuova fase di stallo, nonostante i progressi fatti nella definizione e risoluzione di alcuni aspetti tecnici, il governo del presidente Ebrahim Raisi deve fare i conti con il malcontento proveniente da diversi gruppi sociali e politici, i quali lo accusano di inefficienza e di non aver portato a compimento le promesse elettorali. In primo piano, c’è anche il conflitto in Ucraina.
Le recenti iniziative del presidente Kaïs Saïed volte alla costruzione di un nuovo sistema istituzionale e a un ulteriore accentramento del suo potere decisionale hanno acuito la crisi politica interna in Tunisia. Il capo di stato continua a godere del consenso popolare (benché in declino) soprattutto tra i segmenti della società tunisina in cerca di stabilità economica e prospettive sociali dignitose.
Per l’Arabia Saudita, la crisi internazionale seguita all’invasione russa dell’Ucraina offre opportunità e rischi. Sul fronte economico, la risalita del prezzo del petrolio sostiene la diversificazione post-idrocarburi del regno, fra nuovi progetti urbanistici e industria nazionale della difesa. Il piano diplomatico è invece denso di rischi: nessun ridimensionamento, finora, delle alleanze “multipolari”, anche a costo di logorare quelle tradizionali.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in missione nel Pacifico meridionale, dove Pechino contende agli Stati Uniti il ruolo di ‘garante’ della stabilità.