Dopo aver consolidato la sua presenza nelle regioni occidentali dell’Iraq durante la lotta con le forze militari statunitensi e nei territori a est e nord della Siria avvantaggiandosi della guerra civile, nell’estate del 2014 il sedicente Stato Islamico (IS) ha fatto un ulteriore salto di qualità occupando la città di Mosul, il secondo centro urbano iracheno, e proclamando la nascita del “Califfato islamico” sotto la guida carismatica di Abu Bakr al-Baghdadi.
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Dopo settimane di annunci e smentite, è arrivata l’ufficialità: il gruppo jihadista egiziano Ansar Bayt al-Maqdis (Abm) ha giurato fedeltà al sedicente Stato islamico (Is), conosciuto con il nome di Daish in arabo. L’annuncio è giunto il 10 novembre con un post sull’account Twitter dell’organizzazione egiziana, nel quale si comunicava l'adesione all’Is e si riconosceva Abu Bakr al-Baghdadi «califfo di tutti i musulmani in Iraq, Siria e in tutti i paesi islamici»(1).
Due settimane fa l’appello congiunto lanciato dalla dirigenza di al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP) e di al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) a favore di una ritrovata unità del fronte jihadista siriano (duramente segnato negli ultimi mesi da scontri intestini di estrema violenza) aveva scatenato una ridda di interpretazioni profondamente differenti.
I jihadisti del Maghreb e del Sahel divorziano da al-Qaida e cercano un nuovo Emiro? Così pare, stando a diverse informazioni che, se confermate, aprirebbero nuovi orizzonti d’analisi sul fenomeno globale del jihadismo contemporaneo. Quel che appare chiaro, interpretando l’attualità degli ultimi mesi, è che anche in Africa i gruppi jihdisti più importanti stanno rivedendo le vecchie alleanze alla luce della comparsa di nuovi attori forti.
A quasi tre anni dalla caduta del regime di Gheddafi e dalla sua uccisione, la Libia si appresta a vivere uno degli appuntamenti più importanti della propria storia recente, con le elezioni politiche del 25 giugno.
La sentenza di condanna a morte in primo grado per 683 simpatizzanti della Fratellanza musulmana, emessa lunedì scorso dalla corte di giustizia di Minya, è l’ultimo episodio della repressione in atto contro i vincitori delle prime elezioni nella storia dell’Egitto post-Mubarak. Nello stesso giorno, al Cairo, è stato messo fuorilegge il Movimento 6 Aprile, che per primo era sceso in piazza contro l’ex rais nella rivoluzione del 2011.
Le imminenti elezioni presidenziali in Afghanistan rappresentano non solo una tappa fondamentale nella transizione politica e democratica del paese, ma allo stesso tempo uno snodo cruciale per chiarire se le dinamiche che hanno spinto gli Stati Uniti a intervenire militarmente nel 2001 sono ancora in essere o meno.
Nell’Egitto caratterizzato dalla polarizzazione politica e sociale c’è un elemento che sembra compattare tutti gli abitanti: il Nilo. Oltre all’importanza storica rivestita dal fiume, nel corso degli ultimi mesi esso è stato riportato al centro della scena in seguito alla costruzione, da parte dell’Etiopia, di un’enorme diga sul Nilo Azzurro, la Grande Diga del Rinascimento.
Abstract
It is obvious that Russia as a multinational and poly-confessional state with a rich history is influenced by religious traditions in its cultural and political life. First of all, we mean the impact of Eastern Orthodoxy and Islam as leading religions that are traditional to Russian history and modernity.
Quando si parla del lungo conflitto siriano, gli stati “vicini” che vengono citati più spesso negli articoli e nei dibattiti sono di solito Libano, Arabia Saudita, Turchia o Iran. Dell’Iraq si parla poco, quasi come fosse in una sorta di dimensione parallela. Una volta c’era la guerra in Iraq, e la Siria non esisteva; oggi c’è la guerra in Siria, e l’Iraq è rimasto nel dimenticatoio.