Encouraged by a somehow successful youth uprising in Tunisia, Egypt’s youth – free of any political or religious influence – organized online for the “day of anger” using the virtual social network Facebook. It is what came rapidly to materialize into a “Youth Revolution” taking place on January 25, not only in Cairo but also in another 11 main governorates out of the country’s 29. Demonstrations initially raised the slogan of “Freedom, Dignity, Humanity” and were greatly admired and joined by various opposition currents.
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Il mondo arabo è in agitazione, attraversato da quella che appare come una vera “ondata di democratizzazione” in un’area finora refrattaria al cambiamento. In tal senso, Tunisia ed Egitto potrebbero rivelarsi solamente i primi tasselli di un quadro molto più ampio. Tali transizioni – e in particolare gli ultimi sviluppi della crisi egiziana – offrono l’opportunità di riflettere in modo più generale su quello che potrebbe essere un fattore cruciale in questo processo: ovvero il ruolo degli attori esterni.
2010 saw an increase in tensions on the Korean Peninsula. Pyongyang attacked a South Korean navy vessel in March, unveiled its uranium enrichment facility and shelled a coastal island in November. While a full-fledged war remains unlikely, US and South Korean retaliation has heightened tensions.
While China is unwilling to condemn Pyongyang a resumption, of the Six Party Talks is seen as the only possibility to contain North Korea. Pyongyang in the meantime uses the escalation of tensions as a bargaining chip to secure greater concessions.
In the current Mediterranean crisis, the variables characterizing the events in Tirana are very peculiar. They do not relate to an autocratic regime in crisis, but to a fragile and imperfect democracy. The rebellion has remained limited in time and space. The scenarios that may arise from it total three: a continuing stalemate with government and opposition that persist in challenging one another; early elections; an escalation of violence that would destabilize not only the political framework but also the stability of the state institutions.
Chi e che cosa rappresenta il partito Akp, sinonimo di «Islam moderato», di questo primo decennio del secolo? Alcuni osservatori, fuori e dentro la Turchia, sostengono che il suo leader indiscusso, Erdoğan, abbia un’agenda segreta, mirante a islamizzare progressivamente il paese attraverso misure volte a indebolire i militari, tradizionali garanti della laicità, l’apparato giudiziario e burocratico kemalista, lo stesso stato centrale, in favore di un relativo decentramento amministrativo (peraltro in linea con gli standard europei).
Il Mediterraneo si è presentato nell’ultimo decennio come un concentrato delle grandi sfide dei nostri giorni: dalla promozione della democrazia ai conflitti culturali, dalla sicurezza energetica all’integrazione economica regionale. Nello stesso periodo, la retorica delle politiche statunitensi ed europee nell’area – basti ricordare i programmi dell’amministrazione Bush sulla “libertà e democrazia” in Medio Oriente tra il 2004-2006 o il varo della Politica di Vicinato della Ue – è stata talvolta molto elevata.
L’ho visto accadere in troppi posti perché possa essere considerato un incidente di percorso. Noi, l'Occidente ricco e – ammettiamolo – presuntuoso, che impone i suoi modelli politici, culturali ed economici al mondo. Qualche volta con le maniere buone, o almeno non troppo cattive, qualche volta con sistemi decisamente violenti. Siamo arrivati all’assurdo nominale della “Guerra umanitaria”. Ossimoro della vergogna. Principi monumentali i nostri, lapidari, col peso assoluto della parola “Democrazia”. Salvo sconti per gli amici.
«Qualcuno dovrà pur dire che l’Unione europea non vuole l’Albania all’interno della sua area. Soprattutto adesso che, per l’ennesima volta, il paese chiede il suo aiuto per risolvere una bega politica». Sam Vaknin, analista economico nato in Israele, ma esperto di Balcani, mette da parte la diplomazia. E dice una cosa che, secondo lui, a Bruxelles come a Strasburgo pensa la maggior parte dell’Eurozona. «L’Albania non è uno stato», sostiene Vaknin, «è un’entità che pretende di essere tale ed è gestita come pezzo di territorio dal quale trarre ricchezza».
La strategia d’inclusione dei Balcani nell’Unione europea subisce oggi i contraccolpi di una duplice complicazione: la diminuzione dell’entusiasmo generale nei confronti dell’Unione europea (2005 - oggi) e la crisi economica e finanziaria generale (2008-oggi). Queste due difficoltà si sono sovrapposte e hanno generato una sindrome negativa, per la quale si fa ancora fatica a vedere una soluzione soddisfacente.
Il mutamento improvviso all’interno del quadro politico-istituzionale della Tunisia rappresenta solo uno degli esiti della crisi attuale dell’area maghrebina, una crisi che peraltro presenta condizioni strutturali di partenza differenti a seconda delle realtà regionali. A ben guardare, infatti, si peccherebbe di pressapochismo e superficialità se si considerasse l’insieme degli attori che costituiscono il Maghreb come un unicum.