Il contesto in cui si voterà in Iran per il rinnovo del parlamento è incandescente. Il paese è attraversato da forti tensioni interne, dovute alle conseguenze delle sanzioni sulle condizioni di vita della popolazione, a difficoltà strutturali irrisolte e al frazionamento politico all’interno dello stesso fronte conservatore. L’esito più temuto dalla leadership religiosa è una bassa affluenza alle urne, che potrebbe scaturire dal sostegno velato dei riformisti all’astensione e dall’apatia degli iraniani, delusi da un sistema politico incapace di riformarsi e vessati da problemi economici....
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La vittoria di Vladimir Putin, al primo turno come voluto dal Cremlino, è stata conseguita sotto il segno della “stabilità” promessa ai russi, ma anche al resto del mondo. Resta, però, da capire se il leader russo – tornato alla presidenza per altri 6 anni, dopo otto da presidente e quattro da premier – potrà e vorrà garantire la continuità della sua politica.
Nonostante la netta vittoria di Putin, non vi è dubbio che si stia chiudendo la lunga fase politica iniziata nel marzo del 2000, quando egli ottenne il suo primo mandato. Una fase che può essere definita di “generale consenso”, determinata soprattutto dal sostanziale miglioramento della situa-zione economica interna (dovuta peraltro essenzialmente all’alto prezzo di petrolio e gas) e dalla diffusa percezione di un rafforzamento della posizione internazionale del paese.
L’atmosfera alla vigilia delle elezioni presidenziali in Russia è molto effervescente a causa di un’inattesa attivazione della società civile, a partire dall’ufficializzazione dei risultati delle elezioni alla Duma del 4 dicembre 2011. Pochi giorni dopo migliaia di moscoviti sono scesi in strada per dare vita a una imponente e variegata manifestazione, la più grande protesta a Mosca dai tempi della perestroika e della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
La convocazione di una Conferenza internazionale sulla Somalia, annunciata dal primo ministro britannico, aveva sollevato grandi aspettative, data la comune volontà di non concedere nuove proroghe alle Istituzioni transitorie somale, in scadenza nell’agosto prossimo. Gli adempimenti stabiliti dagli accordi di Kampala sono rimasti, infatti, sulla carta, rendendo del tutto irrealistica la possibilità di svolgere referendum costituzionali o elezioni.
L’incontro alla Casa Bianca fra il presidente americano Barack Obama e il presidente del Consiglio Mario Monti nasce dall’interesse di Washington per il programma di riforme economiche in Italia, segna l’inizio di una nuova fase di rapporti fra i due alleati e al tempo stesso mette il nostro paese di fronte alla necessità di ridefinire l’interesse nazionale davanti a un quadro strategico internazionale mutato.
Quella libica non è stata una guerra per il petrolio attuale, ma per gli idrocarburi del futuro. Nell’agosto scorso Teheran ha ospitato la cerimonia per il cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Opec, con il ministro del petrolio iraniano, Masoud Mirkazemi, che ha affermato, per le orecchie che vogliono intendere, che «il mercato petrolifero non va politicizzato» e che l’Organizzazione con sede a Vienna vuole espandere il proprio ruolo nella sicurezza degli approvvigionamenti energetici e delle linee di trasporto.
La minaccia dei vertici politici della Repubblica islamica di chiudere lo Stretto di Hormuz, le conseguenti manovre della marina militare dell’esercito nazionale iraniano nel Golfo Persico insieme al continuo sviluppo del programma nucleare iraniano, hanno provocato, nell’ultimo mese, l’intensificarsi della stretta degli Stati Uniti e dei paesi dell’Unione europea su Teheran.
A 10 anni dalla loro nascita i Brics riescono addirittura a sorprendere il chief economist di Goldman Sachs che li ha inventati il quale, nel suo libro appena pubblicato per celebrare il decennio, archivia definitivamente la definizione di “economie emergenti” per introdurre quella, oggi più coerente, di “economie in crescita”.
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica sono, infatti, avanzati in modo apparentemente inarrestabile e, soprattutto, più velocemente del previsto.
Lo scorrere del tempo non è più una garanzia di successo per la Cina. Questa è la novità che traspare unificando i segnali grandi e piccoli che incrinano uno sviluppo oramai entrato nella leggenda per quantità e durata. Sono tanti e contemporanei i disagi che affollano l‘agenda di Pechino. Il più vistoso è l’arretramento della crescita del Pil, nel migliore dei casi orientato verso un soft landing.