Dossier - ISPI
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Fra gli attori capaci di influenzare la crisi siriana, anche la Cina trova un proprio ruolo unendosi alla Russia nel porre il veto contro un’azione militare motivata dal presunto impiego di armi chimiche. Nulla di nuovo per un paese che ha sempre fatto del principio di sovranità nazionale (o dell’antimperialismo) un diritto sacro. Nel 2011, però, questa costante è venuta meno durante il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha visto l’astensione cinese sull’intervento militare in Libia, paese fra i principali fornitori di greggio per Pechino.
Uno degli ostacoli più difficili da superare per gli Stati Uniti e i loro alleati qualora decidessero di intervenire militarmente in Siria è la mancanza di approvazione di tale missione da parte del Consiglio di Sicurezza dove la Russia rimane determinata a vetare qualunque proposta in tal senso. Una situazione simile era occorsa anche nel 1999 prima della guerra in Kosovo e proprio al modello seguito allora ci si potrebbe rifare per un attacco in Siria.
È opinione comune tra gli analisti che un intervento militare internazionale in Siria destabilizzerebbe il vicino Libano. Ma viene subito da obiettare che il Libano è già destabilizzato. Il devastante scontro tra Assad e i suoi oppositori ha abbracciato il Paese dei cedri da oltre un anno. Da quando, era il maggio 2012, si registrarono i primi episodi di violenza a Beirut, ma soprattutto a Tripoli, roccaforte sunnita nel Libano del nord, quindi confessionalmente vicina alle posizioni anti-Assad.
Mentre crescono i venti di guerra intorno alla Siria, la politica di Washington in Medio Oriente potrebbe rivelarsi un inaspettato, improvviso e improbabile successo, con un cambiamento di prospettive radicale fino a poco tempo fa. Barack Obama è stato criticato in maniera durissima per la sua politica verso i paesi arabi e l’Iran. L’Occidente aveva assistito alla deriva turca ed egiziana verso l’Islamismo autoritario, agli sviluppi della bomba iraniana, ai litigi del
In July 2012 the first democratic elections for a parliament, the General National Congress, took place. This was a milestone in the development of the new Libya. But now, one year later, how does the country look like? Unfortunately the situation developed exactly as predicted [1]. In order to understand this better it is at first necessary to analyze the objectives and the “strategy” of the major players.
Although the US recent ‘pivot’ toward the East Asian region has been much discussed, inadequate attention has been paid to the geopolitical consequences of this initiative. This study aims to explain what the U.S. is doing as it shifts its strategic focus to the Asia-Pacific region, discussing the “new” US grand strategy towards the Asia Pacific, epitomized by the slogan "Asia pivot". It does so by describing the main drivers behind the renewed geopolitical centrality of Asia for the United States, the objectives of the Obama administration in the region and the tools deployed by...
Per spiegare l’attuale situazione nel sud della Libia e in Niger si potrebbe ricorrere alla classica interpretazione delle relazioni internazionali come “palla da biliardo”. Secondo questa gli stati reagirebbero nell’arena internazionale esattamente come su un tavolo da biliardo rispondendo agli stimoli esterni. L’instabilità del Mali e dell’area saheliana è stata in buona misura il risultato dell’intervento militare in Libia del 2011.
Quando Henry Kissinger scrisse che «le condizioni sono propizie» per «la creazione di una North Atlantic Free Trade Area» in grado di sostenere globalmente il principio del libero scambio e che, «nel medesimo tempo, favorirebbe la cooperazione» tra Stati Uniti ed Europa, non si riferiva certo agli anni successivi alla “grande crisi” del 2007, benché con lungimiranza raccomandasse all’Occidente di rilanciare la propria economia di fronte all’imminente ascesa dell’Asia. Era il maggio del 1995.
Abstract
“Rebalancing” to the Asia Pacific is the signature foreign policy initiative of the Obama administration. Despite the attention it has rightfully garnered, the rebalance remains poorly understood. In addition to misapprehension about its fundamental principles, discussion appears to be dominated by what this policy isn’t rather than what it is. This essay aims to clear up the confusion, explain what the U.S. is doing as it shifts its strategic focus to the Asia-Pacific region, and its implications for the U.S.-Japan alliance.