Storico: è un aggettivo ripetuto così tante volte in questi giorni che ormai può sembrare retorico. Eppure a guardare indietro, alla storia della diplomazia dalle guerre mondiali a oggi, si fatica a trovare un successo paragonabile all'accordo sul programma nucleare iraniano raggiunto a Vienna il 14 luglio, grazie a negoziati che hanno coinvolto direttamente tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.
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La caduta dell'ultimo muro, quel muro d'acqua che separa Miami da L'Avana, gli Stati Uniti da Cuba, ha molti padri: Raúl Castro e Barack Obama, ma anche Fidel, il Papa e persino la lobby economica della Florida ormai convinta dell'inutilità dell'embargo, in vigore da oltre 50 anni. Ma come spesso è accaduto nelle vicende dell'isola caraibica «la causa es la economia», omologo cubano dell'inglesismo «It's the economy, stupid».
Cuba è storicamente per gli Stati Uniti fonte di grande attenzione strategica, economica e diplomatica. In primo luogo per motivi geografici, L’Avana – spesso suo malgrado – non ha mai davvero potuto sottrarsi allo sguardo interessato di Washington. E quando ha provato a farlo, la Casa Bianca non ha assistito passivamente: prima, nel 1903 a seguito dell’indipendenza, le ha imposto un protettorato; poi, all’inizio degli anni Sessanta poco dopo la revolución, le ha applicato un embargo commerciale che continua tutt’oggi.
Per oltre cinquant’anni l’embargo commerciale nei confronti di Cuba – iniziato dal presidente Dwight Eisenhower nel 1960 – ha impedito a due paesi distanti appena 150 chilometri lo sviluppo di normali relazioni economiche. L’apertura delle ambasciate di Cuba e Stati Uniti il 20 luglio 2015 porrà fine formalmente a quel muro politico e diplomatico che li divide, ma una normalizzazione delle relazioni economiche sarà tuttavia molto lenta e complicata.
L’accordo raggiunto a Vienna sulla delicata questione del nucleare iraniano apre, per gli Stati Uniti, scenari complessi e dalle implicazioni ramificate. Il semplice fatto che, pur con tutte le difficoltà che hanno punteggiato il negoziato, si sia giunti a questo risultato rappresenta una tappa importante per due interlocutori che dalla rivoluzione del 1979 avevano improntato le proprie relazioni su un’ostilità dichiarata, mai realmente scalfita dalle rade e diffidenti aperture registrate.
Se qualcuno avesse dubbi sul senso più profondo, e sulle implicazioni geopolitiche, dell’accordo sul nucleare iraniano raggiunto a Vienna, basterebbe notare che il suo più accanito avversario, il primo ministro israeliano Netanyahu, invece di tracciare a cupe tinte lo scenario di un Iran genocida intenzionato a dotarsi di bombe atomiche per annientare Israele, si preoccupa che grazie all’accordo Teheran possa disporre di maggiori mezzi, e di minori limitazioni, per portare avanti il proprio disegno di egemonia regionale.
In questi giorni, la Cina sta tentando - suo malgrado - di rubare la scena alla Grecia sui mercati finanziari, con il fragoroso crollo del listino di Shanghai che ha perso circa il 35% in poche settimane. Le misure adottate da Pechino, tra cui l'introduzione di un divieto per sei mesi agli investitori di vendere azioni in società quotate di cui pos
Prima il terrorismo stragista che ha insanguinato Nord Africa Medio Oriente ed Europa, poi la questione Grexit hanno monopolizzato l’attenzione dei media internazionali, relegando in secondo piano la trattativa sul nucleare iraniano in cui sono impegnati, oltre a Teheran, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania con l’Unione Europea.
Se è vero che l’irruzione del Califfato in Medio Oriente ha alterato sensibilmente la già fragile e tormentata geografia politica, sociale ed economica dell’area, non è meno vero che gli sviluppi della trattativa 5+1-Iran sul programma nucleare di Teheran vi hanno aggiunto derive suscettibili di consegnare a un futuro denso di incognite i suoi equilibri interni e quelli fra i principali players internazionali che vi gravitano.