Uno dei fenomeni più preoccupanti, e meno avvertiti, di questo confuso mondo in transizione è la lacerazione del tessuto multietnico che per millenni ha caratterizzato il Mediterraneo.
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I disastri di una guerra non si vedono mai soltanto nel campo di battaglia; il più delle volte sono destinati a espandersi, a interessare chi non è direttamente coinvolto e a protrarre i suoi molteplici effetti nel tempo.
La procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia è stata proposta dalla Commissione nell’ottobre del 2009. Si era trattata di una decisione obbligata e di una diretta conseguenza della crisi importata dagli Usa. Una crisi che aveva colpito indiscriminatamente tutti i paesi europei al punto che le procedure di disavanzo avevano coinvolto ben 24 dei 27 paesi dell’Ue (salvando soltanto Lussemburgo, Estonia e Svezia). Ma la “omogenea” diffusione di queste procedure è venuta meno negli ultimi due anni.
Uno stato debole, ma in possesso dell’arma atomica, una transizione democratica appena abbozzata e già ostacolata dal coacervo di tensioni interne, un involontario (o colluso?) porto franco per i terroristi. Parlare del Pakistan è come guardare in un caleidoscopio: più si cerca di metterlo a fuoco, più tutto si confonde e il quadro d’insieme, inesorabilmente, scompare.
Il tour mondiale della blogger cubana Yoani Sánchez, che ha toccato anche l’Italia, ha rilanciato il tema della transizione post-castrista di Cuba. Probabilmente gli osservatori più attenti all’“offerta politica” (in senso lato) della Sánchez saranno rimasti molto delusi dalla totale assenza di un qualsivoglia progetto politico di ampio respiro per il futuro dell’isola .
Se il palcoscenico internazionale fosse un parco di divertimenti, l’immagine che meglio si presterebbe a rappresentare le relazioni tra Iran e Pakistan sarebbe quella di un ottovolante: alti e bassi, in continuo mutamento. L’Iran che nell’agosto 1947 fu il primo paese a riconoscere ufficialmente il Dominion del Pakistan all’indomani della sua nascita era un Iran profondamente diverso da quello odierno.
A fine aprile la Turchia è entrata nella “big family” della Shangai Cooperation Organization (Sco) – l’organizzazione che coinvolge Russia, Cina, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan –, in qualità di “partner di dialogo”. La firma del Memorandum di cooperazione il 26 aprile ad Almaty in Kazakistan completa un processo iniziato lo scorso anno al summit della Sco di giugno a Pechino. Quali saranno i risvolti pratici dello status di partner di dialogo acquisito dalla Turchia è ancora da capire.
Dopo la negativa esperienza dei governi a guida democratica (2009-2012), il Giappone è tornato al passato e punta al proprio rilancio scegliendo la stabilità e la tradizione degli esecutivi liberaldemocratici (LDP). La maggioranza conseguita dai conservatori è stata netta e ha attribuito al nuovo governo e alla coalizione di centro-destra un mandato forte per poter governare e provare a cambiare radicalmente il paese, stretto com’è tra deflazione economica e immobilismo politico.
Japan’s (relatively) new government is arguably doing (much) better than its critics inside and outside of Japan anticipated when the Liberal-Democratic Party (LDP) Prime Minister Shinzo Abe took over power last December.
L'ultimo screzio tra Cina e Giappone si è consumato il 21 aprile scorso. Al centro delle polemiche è ancora il tempio Yasukuni che ospita le spoglie di 14 eroi di guerra giapponesi che Pechino annovera tra i criminali dell’invasione giapponese consumatasi tra il 1931 e il 1945.