Non passa giorno senza che la Germania venga criticata dalla stampa europea: incurante dei suoi vicini e insensibile alla crescita. La cancelliera Angela Merkel è stata colpevolmente lenta a capire la gravità della crisi. Solo dopo angosce e dubbi si è arresa all’idea di salvare la Grecia, aiutare il Portogallo e l’Irlanda, creare e poi rafforzare il fondo di stabilità europeo (noto con l’acronimo in-glese Esm). La lentezza tedesca ha fatto probabilmente molti danni e ha aumentato purtroppo i costi della crisi.
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Le elezioni presidenziali egiziane si collocano nel contesto della road map che condurrà il paese al completo rinnovamento dei suoi organi politici, a seguito della rivolta dello scorso anno e l’elezione del Parlamento avvenuta nei mesi di novembre e gennaio. Il processo costituente si è attivato secondo una prassi già nota nel paese, l’adozione di una Dichiarazione Costituzionale successivamente al momento rivoluzionario e redatta da un’assemblea ristretta.
Sull’eventuale uscita della Grecia dall’euro ci sono tante opinioni tra i diversi Paesi e tra le diverse istituzioni su che cosa potrebbe accadere.
I prospettati cambiamenti nella leadership cinese, alla presidenza della repubblica e alla guida del Partito comunista, sembrano innestarsi nel solco della continuità e del mantenimento dello status quo, almeno da una prospettiva politica.
Nell’ultimo decennio la regione del Golfo ha conosciuto importanti trasformazioni geopolitiche che ne hanno modificato gli equilibri e allo stesso tempo innescato nuove dinamiche.
Una delle colonne portanti per la stabilità del regime degli Assad negli ultimi 40 anni è stata la capacità di “comprare consenso” attraverso l’elargizione di risorse economiche sotto forma di sussidi e impieghi statali ben remunerati e poco produttivi. Tale politica, tipica del rentier state, è stata resa possibile dalla rendita derivante dalle esportazioni petrolifere che, seppur limitate (circa 385.000 di barili al giorno nel 2010 contro i 9,5 milioni attuali dell’Arabia Saudita), hanno sempre costituito la principale fonte di entrate per lo stato siriano.
Nonostante i tentativi di mediazione da parte dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, l’ex segretario generale Kofi Annan, la situazione in Siria non accenna a migliorare e la crisi interna si acuisce di giorno in giorno. Il piano proposto da Annan, che dovrebbe essere supportato anche da attori esterni come la Cina e la Russia, prevede sei punti negoziali dai quali far partire i colloqui per una soluzione di quella che ormai rischia di essere una vera e propria guerra civile.
L’Europa non è più al centro dell’attenzione e della preoccupazione dei mercati. Il rialzo dei prezzi del petrolio fa spostare lo sguardo verso l’Asia, un continente che per continuare a crescere a ritmi tali da sostenere anche le economie occidentali in difficoltà e assicurarsi il sostentamento, ha bisogno di consumare e/o conservare, nelle proprie riserve nazionali, crescenti quantità di greggio.
Il prezzo del petrolio è un animale assai lunatico, che si lascia ingabbiare con molta difficoltà dalle previsioni degli esperti. Perfino un’istituzione come la governativa “Energy Information Administra-tion” degli Stati Uniti ha vita durissima a indovinare le quotazioni del barile, anche solo per l’anno successivo :
Il tema dell’indipendenza energetica americana è di grande attualità in queste ultime settimane, da quando cioè i grandi giornali statunitensi e internazionali sono tornati a occuparsi della questione, legandola agli altissimi prezzi mondiali del greggio e alla notizia che il 2011 ha visto gli Stati Uniti tornare esportatori di petrolio per 1,2 milioni di barili al giorno.