Il 18° Congresso del Partito comunista cinese si è chiuso, sì, ma non è finito. La nomina di Xi Jinping a segretario generale e dei suoi sei colleghi (subordinati) del comitato permanente del Politburo sigilla la parte rituale di un processo di elaborazione in realtà durato anni e messo a punto negli ultimi mesi, resi travagliati dalle ramificazioni criminal-spionistico-politiche del caso Bo Xilai. Finalmente è stata tirata una linea e sono stati mostrati al mondo gli interpreti del gioco.
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E ora parliamo di Hamas, di Israele, di elezioni, di Egitto e di geopolitica, mentre si susseguono raid e cannoneggiamenti dal mare, tutti verso Gaza. Lo sguardo – quello intimo – è puntato sulle persone, sulle case, sulla lunga spiaggia di Shati, sul popolo che al buio sente le esplosioni, sulla mancanza di un qualsiasi rifugio in un posto che è una lunga e stretta lingua di terra dove le case sono le une sopra le altre.
La trentennale alleanza tra il Partito Repubblicano e l’elettorato cubano-americano, inaugurata all’inizio degli anni Ottanta dall’amministrazione di Ronald Reagan, sembra essere giunta al termine[1].
Le elezioni presidenziali del 2012 hanno confermato una tendenza che si era già manifestata nella precedente tornata elettorale: il sostegno dei cubano-americani al Gop si sta riducendo, tanto che la comunità della Florida parrebbe dividersi in parti uguali tra i due principali partiti del sistema politico statunitense.
I paesi della sponda Sud ed Est del Mediterraneo si sono svegliati da un lungo sonno democratico, e la cosiddetta Primavera araba sta mutando in maniera sostanziale il quadro politico, istituzionale ed economico dell’intera Area mediterranea. Questa rivoluzione partita dal basso, che ha trovato fiato nel desiderio di libertà e nella voglia dei giovani di costruirsi un futuro migliore, più prospero e stabile, ha avviato un processo di cambiamento epocale che ha coinvolto sia il tessuto sociale che economico di queste realtà.
Nonostante siano passati quasi due anni da quando gli egiziani hanno occupato piazza Tahrir per chiedere la fine della dittatura di Mubarak, l’Egitto non ha ancora approvato la sua nuova Costituzione. Il processo di stesura della nuova Carta fondamentale è stato finora confuso e ha prodotto soltanto un documento provvisorio. I liberali hanno criticato la composizione dell’assemblea costituente, formata soprattutto da intellettuali e deputati islamisti, e molti laici hanno abbandonato la Commissione incaricata di scrivere la nuova Carta fondamentale.
A un anno dalla fine del regime di Muammar Gheddafi, i problemi che la Libia deve affrontare sulla strada della democratizzazione appaiono ancora numerosi. La lunga fase di transizione, iniziata il 20 ottobre 2011 con l’uccisione di Gheddafi, si sta manifestando molto complessa e dall’esito incerto, nonostante il relativo successo delle elezioni per il Congresso nazionale, tenutesi il 7 luglio 2012.
Per vincere la Casa Bianca Barack Obama e Mitt Romney affrontano il "Final Fight" con strategie elettorali opposte, frutto di una diversa visione dell’America e delle differenti coalizioni che vogliono creare per riuscire ad affermarsi.
Dopo 15 anni di attesa e dopo aver fornito adeguata risposta a 700 domande poste dal Wto (World Trade Organization), la Repubblica Popolare Democratica del Laos, l’economia più piccola e più veloce del Sudest asiatico, venerdì 26 ottobre ha ottenuto il «sì» da parte del Consiglio Generale e con ogni probabilità dai primi mesi del 2013 sarà il 158° membro dell’Organizzazione.
Il 16 ottobre scorso è stato pubblicato sulla Gaceta Oficial della Repubblica di Cuba il Decreto-legge n. 302, che contiene una riforma alla cosiddetta Ley de Migración del 1976. Quello che il Ministero degli Esteri isolano ha definito un «rinnovamento della politica migratoria» rappresenta sicuramente un giro di vite notevolissimo e una riforma – almeno sulla carta – di (potenziale) portata storica, una delle più incisive dall’uscita dalla scena istituzionale di Fidel Castro .
Se si interrogasse un cittadino americano qualunque a proposito di popoli nativi probabilmente si ascolterebbero racconti sull’epopea del Far West, sulle battaglie fra indiani e cowboys, sulla tradizione del Giorno del Ringraziamento. La narrativa dominante, infatti, colloca i nativi americani nella sfera del mito, della cosmologia delle origini. Perché, allora, sempre più politici fanno campagna elettorale nelle riserve e si contendono il voto indiano?