Se nonostante Brexit, l’elezione di Donald Trump, Putin, i missili nordcoreani, il terrorismo, il massacro siriano, l’ondata dei migranti e altro ancora, vi dicessi che il 2016 è stato uno degli anni migliori per l’umanità, mi prendereste per matto. Avreste ragione ma fino a un certo punto.
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Lo scorso novembre l’India ha inaugurato la centrale fotovoltaica più grande del mondo a Kamuthi, nello stato meridionale del Tamil Nadu.
Lo scorso novembre il premier indiano Narendra Modi aveva annunciato la demonetizzazione: improvvisamente l’86% del contante fu messo fuori corso. Gli effetti fino ad ora sono stati buoni e l’economia non ha subito terremoti. “È un grande stimolo per la digitalizzazione della nostra economia e per la diminuzione del cash circolante: è il 12% del Pil, la percentuale più alta al mondo. Nei paesi Ocse è lo 0,5–3%”. Oggi, il governo di New Delhi ha introdotto la GST, la "più radicale" delle riforme economiche e finanziarie dall’indipendenza nel 1947.
“Nessun indiano avrà mai il potere d’imporre la sua volontà sugli indiani: la nostra è una democrazia scontrosa e rumorosa e non c’è comunità grande abbastanza che possa creare un’oligarchia benevola”. Così Rajiv Kumar cerca di spiegare quanto lungo è il cammino delle riforme di Narendra Modi, per quanto straordinario sia il consenso popolare di cui gode.
La Siria di domani è un puzzle che si sta lentamente, e dolorosamente, componendo. E, una volta completato, conserverà ben poco del paese che fu. Nonostante la retorica e le roboanti dichiarazioni del regime di Bashar al-Assad, è ormai chiaro infatti che la Siria sia sempre meno destinata a tornare a essere un paese unitario e sempre più condannata a diventare uno “spazio geografico”, diviso per zone d’influenza fra fazioni interne, stati regionali e potenze internazionali.
I curdi siriani sono assurti a campioni della lotta sul campo contro l’Isis a suon di finanziamenti logistici e militari e di incensamenti da parte di tutta la comunità internazionale. La riconquista di Raqqa, capitale dell’autoproclamato Califfato di al-Baghdadi, è soltanto l’ultima, e sicuramente tra le più simboliche, delle tappe di un cammino che, almeno dal 2014, vede i curdi in prima linea contro i jihadisti.
Il fatto che un mezzo accordo sulla tregua in Siria sia l'unico risultato concreto del faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin al G20 di Amburgo dimostra quale sia stato il vero valore dell'intervento a fianco di Bashar al-Assad per Mosca: avere una merce di scambio con l'unico interlocutore strategico che le interessa, gli Stati Uniti.
Il caso Ungheria – Cina farà sicuramente giurisprudenza su “One Belt One Road”. Facciamo un passo indietro. Pechino non ha conquistato il porto del Pireo per renderlo “l’Isola del Pireo”, ma vuole collegarlo meglio con il centro dell’Europa. Per farlo punta sulle ferrovie, partendo nello specifico dal miglioramento del sistema infrastrutturale balcanico. Per questo ha iniziato il progetto di costruzione della ferrovia che dalla Serbia raggiungerà Budapest.
Dalla metà di maggio, in occasione del primo Belt and Road Forum a Pechino, si susseguono, concitati e confusi, numerosi commenti e presunte rivelazioni su quelli che dovrebbero diventare i punti di arrivo delle due direttrici principali, terrestre e soprattutto marittima di OBOR. Il fatto che nel disegno complessivo tali approdi non siano ancora del tutto ufficialmente definiti è un segnale che a tutt’oggi gli snodi e i collegamenti nella grande rete di infrastrutture di trasporto che collegherà Europa e Asia è in piena fase di progettazione.
In un curioso mondo nel quale il presidente degli Stati Uniti è un sostenitore della Russia di Putin, la Repubblica popolare cinese è il grande protettore della globalizzazione e i sauditi accusano un loro vicino di estremismo religioso, accade anche questo.