A dieci anni dalla guerra, l’Iraq resta un Paese instabile dilaniato dalle violenze settarie e dal terrorismo jihadista. La caduta della dittatura ha fatto riemergere le rivalità etnico-religiose tra le comunità di sciiti e sunniti e la situazione politica rimane lontana da quanto auspicato dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Abbiamo intervistato l'ambasciatore Maurizio Melani, già ambasciatore italiano a Baghdad, per chiedere una sua opinione sugli elementi di magg
Risultati della ricerca:
Uno degli enigmi che più tormenta chi guarda con interesse alla politica iraniana è: «chi comanda veramente nella Repubblica Islamica?». Se, infatti, è ormai chiaro che il presidente della repubblica detiene ben poco potere, e comunque ben entro i margini dello spazio di azione concesso dalla Guida, è un po’ meno chiaro quali siano i limiti all’operato di quest’ultima, l’ayatollah Ali Khamenei. Opinione di chi scrive è che il decisore ultimo sia sì la Guida Suprema, ma che questa non detenga assoluta autonomia e indipendenza nel processo decisionale.
Nel 2013 la sua vittoria sono stati i 22mila caratteri suddivisi in 60 punti del documento finale dello storico Terzo Plenum del Partito comunista cinese: il progetto “3-8-3”, tre concetti, 8 aree di riforme, 3 combinazioni di riforme correlate. Probabilmente la più ambiziosa iniziativa di riforme dall’alto verso il basso nella storia della Cina. È un grande successo per il sessantunenne Liu He, economista con formazione a Harvard, vicedirettore della potente Commissione nazionale per lo Sviluppo e la Riforma (Ndrc)
A oltre dieci anni dalla caduta del regime baathista, fare un bilancio della situazione irachena è estremamente difficile e ancor più complicato è capire cosa il futuro potrà riservare. Nonostante le enormi difficoltà che il paese deve tuttora affrontare, non è possibile ignorare gli obiettivi raggiunti in questi anni dal “nuovo Iraq” e i timidi segnali di ripresa che potrebbero porre le basi per una vera e propria rinascita della “terra dei due fiumi”.
No cari amici, non c’è nessun multipolarismo nella tendenza politica dei prossimi anni: al più, c’è un arcipelago, una frammentazione, tra disgregate tendenze e vacui equilibri. Un “polarismo” presume un polo, e un polo è tale in quanto sovrano di violenza e ideologia, con la garanzia del benessere e la logica dell’interesse. Ciò non sembra corrispondere alla situazione: nessuno degli imperi ideologici o presunti tali convince paesi e culture.
Il mini accordo sulla facilitazione degli scambi internazionali raggiunto a inizio dicembre a Bali – sotto l’ombrello multilaterale della Wto – pone una questione rilevante: si vuole procedere, d’ora in poi, attraverso patti commerciali globali, aperti a tutti, o si preferisce la strada degli accordi bilaterali o regionali, magari chiusi in se stessi?
La grande novità della Francia per il 2014 potrebbe essere una vecchia conoscenza, Nicolas Sarkozy. Il ritorno sulla scena dell’ex presidente è più che una speculazione giornalistica. Lo vogliono la cerchia di fedelissimi, gran parte dell’elettorato moderato e soprattutto lo vuole lui. Qualcuno, con enfasi bonapartista, parla di “destino”, anche se c’è da dubitare che basti un revival carismatico a colmare il fossato fra cittadini ed élite e la sfiducia generalizzata nel sistema paese.
Complice la crisi che oscura le fortune di Sonia Gandhi, molti vedono in Narendra Modi l’homo novus della politica indiana, chiamato a celebrare il declino definitivo del partito del Congresso e a ridorare il blasone un po’ stinto del Bjp (Bharatiya Janata Party - Partito del popolo indiano). Non è la prima volta che il faro dell’attenzione si accende su di lui e Modi è stato, negli anni, molte cose.
L’ombra di un ennesimo uomo del destino rischia di invadere il nuovo anno mediorientale e inquinare le speranze delle sue Primavere. Abdel al-Fattah al-Sisi ha il profilo ideale del rais perfetto. Possiede l’età: per le tradizioni della regione 59 anni sono solo la giovinezza della maturità. Ha esperienza nei servizi segreti militari: elemento essenziale del cursus honorum del sistema di potere tradizionale nei paesi arabi. È un pio musulmano: una delle sue figlie porta la versione più castigata dell’hijiab. Ha consenso popolare.
L’Arabia Saudita sta attraversando una fase alquanto delicata. Si trova infatti a dover rispondere a ineludibili sfide interne e a fare i conti con gli scomodi riflessi del sostanziale mutamento della strategia mediorientale degli Stati Uniti, suo più longevo e rilevante alleato.