A oltre dieci anni dalla caduta del regime baathista, fare un bilancio della situazione irachena è estremamente difficile e ancor più complicato è capire cosa il futuro potrà riservare. Nonostante le enormi difficoltà che il paese deve tuttora affrontare, non è possibile ignorare gli obiettivi raggiunti in questi anni dal “nuovo Iraq” e i timidi segnali di ripresa che potrebbero porre le basi per una vera e propria rinascita della “terra dei due fiumi”.
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No cari amici, non c’è nessun multipolarismo nella tendenza politica dei prossimi anni: al più, c’è un arcipelago, una frammentazione, tra disgregate tendenze e vacui equilibri. Un “polarismo” presume un polo, e un polo è tale in quanto sovrano di violenza e ideologia, con la garanzia del benessere e la logica dell’interesse. Ciò non sembra corrispondere alla situazione: nessuno degli imperi ideologici o presunti tali convince paesi e culture.
La grande novità della Francia per il 2014 potrebbe essere una vecchia conoscenza, Nicolas Sarkozy. Il ritorno sulla scena dell’ex presidente è più che una speculazione giornalistica. Lo vogliono la cerchia di fedelissimi, gran parte dell’elettorato moderato e soprattutto lo vuole lui. Qualcuno, con enfasi bonapartista, parla di “destino”, anche se c’è da dubitare che basti un revival carismatico a colmare il fossato fra cittadini ed élite e la sfiducia generalizzata nel sistema paese.
Il mini accordo sulla facilitazione degli scambi internazionali raggiunto a inizio dicembre a Bali – sotto l’ombrello multilaterale della Wto – pone una questione rilevante: si vuole procedere, d’ora in poi, attraverso patti commerciali globali, aperti a tutti, o si preferisce la strada degli accordi bilaterali o regionali, magari chiusi in se stessi?
Complice la crisi che oscura le fortune di Sonia Gandhi, molti vedono in Narendra Modi l’homo novus della politica indiana, chiamato a celebrare il declino definitivo del partito del Congresso e a ridorare il blasone un po’ stinto del Bjp (Bharatiya Janata Party - Partito del popolo indiano). Non è la prima volta che il faro dell’attenzione si accende su di lui e Modi è stato, negli anni, molte cose.
L’ombra di un ennesimo uomo del destino rischia di invadere il nuovo anno mediorientale e inquinare le speranze delle sue Primavere. Abdel al-Fattah al-Sisi ha il profilo ideale del rais perfetto. Possiede l’età: per le tradizioni della regione 59 anni sono solo la giovinezza della maturità. Ha esperienza nei servizi segreti militari: elemento essenziale del cursus honorum del sistema di potere tradizionale nei paesi arabi. È un pio musulmano: una delle sue figlie porta la versione più castigata dell’hijiab. Ha consenso popolare.
L’Arabia Saudita sta attraversando una fase alquanto delicata. Si trova infatti a dover rispondere a ineludibili sfide interne e a fare i conti con gli scomodi riflessi del sostanziale mutamento della strategia mediorientale degli Stati Uniti, suo più longevo e rilevante alleato.
Per tentare di comprendere cosa stia accadendo lungo la sponda arabica del Golfo, occorre guardare, più che al summit dei capi di stato svoltosi il 10-11 dicembre in Kuwait, a ciò che è avvenuto prima e intorno alla riu-nione. Il tradizionale vertice dicembrino del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) si è infatti concluso con i soliti, vaghi impegni per il rafforzamento della cooperazione economica e finanziaria.
È ancora presto per capire se l’accordo raggiunto il 24 novembre 2013 porterà a una soluzione effettiva dell’annoso dilemma del nucleare iraniano. Un risultato importante sembra comunque averlo conseguito, dando respiro a un’amministrazione – quella di Barack Obama – che nelle settimane precedenti era parsa arrancare sotto il peso delle difficoltà interne e internazionali.
Come i vecchi re d’un tempo, nel luglio del 2011, Nelson Rolihlahla Mandela si è ritirato nella terra d’origine dove nacque nel lontano 1918, presso Qunu nella Provincia del Capo Orientale, la terra del popolo xhosa di cui ha fatto parte e che lo ha rinominato Madiba, titolo onorifico di clan, dopo che i missionari della scuola frequentata da bambino lo avevano chiamato Nelson.