Dall’Africa a sud del Sahara, qualche volta, arrivano anche delle buone notizie. Il secondo turno delle elezioni presidenziali senegalesi, svoltosi il 25 marzo nella piena regolarità e senza incidenti di rilievo, ha sancito la vittoria del candidato dell’opposizione, Macky Sall, mandando a casa il presidente uscente, Abdoulaye Wade. Questi, già vincitore nelle due ultime tornate e al potere da ben dodici anni, aspirava a una nuova investitura nonostante l’età ormai avanzata (86 anni) e i dubbi di costituzionalità di un terzo mandato.
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Il senatore repubblicano John Barrasso, un medico del Wyoming che ha lavorato a Yale, l’ha detto chiaramente: il Presidente Obama dovrebbe essere ritenuto «pienamente responsabile per quanto il pubblico americano sta pagando per la benzina». Il settimanale «The Economist» gli ha subito fatto notare che non sono parole che si addicono al rappresentante di un partito che solitamente inneggia al mercato visto che il prezzo della benzina non lo decide certo la Casa Bianca, né sarebbe auspicabile che lo facesse.
Non è possibile parlare della Russia di Vladimir Putin, paese ricco di contraddizioni, passato in pochi anni dalla pianificazione centralizzata ai meccanismi di mercato e con un’economia in rapida e costante espansione, se non si considera che nel 1991 non solo si è dissolto il Partito comunista sovietico ma è avvenuta la disunione dell’ultimo degli imperi europei, che il Partito aveva ereditato da secoli di storia degli zar.
La crisi greca sta mostrando nel modo più eclatante le debolezze dell’Europa. A cominciare dalle responsabilità della Grecia stessa. È evidente che la situazione debitoria del paese è dovuta all’atteggiamento fraudolento e irresponsabile dei due partiti che si sono succeduti al governo di Atene nel decennio precedente, i socialisti del Pasok (Partito Socialista Ellenico) e i conservatori di Nuova Democrazia.
Da qualche mese a questa parte il primo ministro ungherese Viktor Orban è sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale per iniziative di governo che appaiono a molti come una pericolosa deriva autoritaria. Trionfatore nelle elezioni del 2010 con il 58% del voto popolare e due terzi dei seggi in parlamento, ha messo in cantiere una serie di misure legislative (più di trecento in meno di due anni) destinate a imprimere una svolta radicale nel cammino dell’ancora fragile democrazia del suo paese.
L’Eurozona non può più perdere tempo. Dopo aver sprecato gli ultimi due anni, ora deve decidere cosa fare del suo futuro. L’attuale struttura non è più adeguata alle esigenze originali e aumentano i paesi che necessiterebbero una ristrutturazione del proprio debito, dalla Grecia al Portogallo. Nel frattempo, però, la Germania cerca di andare avanti nel processo di integrazione economica e fiscale, consapevole che una disgregazione della zona euro potrebbe avere effetti devastanti.
I risultati del vertice di Bruxelles di lunedì 30 gennaio sono rilevanti per l’Italia, che li ha non poco influenzati. La posizione del nostro paese è stata fra quelle determinanti nell’evitare che il “fiscal compact” che è stato varato contenesse clausole inutilmente severe e rigide. Gli obblighi di equilibrio del bilancio pubblico e le clausole di correzione semi-automatiche degli squilibri sono formulati in modo da tener conto della fase ciclica, e quindi del rallentamento del gettito fiscale causato da quello del Pil, anche in seguito a politiche restrittive.
Nel Medio Oriente che si sta plasmando come conseguenza della Primavera araba il Qatar sta conquistando una posizione sempre più rilevante, dal punto di vista della diplomazia, del soft power e del potere politico ed economico-finanziario. Non è una novità che la piccola – piccolissima: poco più di un milione e mezzo di abitanti – penisola del Golfo Persico stia tentando di ritagliarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere mediorientale.
Quella libica non è stata una guerra per il petrolio attuale, ma per gli idrocarburi del futuro. Nell’agosto scorso Teheran ha ospitato la cerimonia per il cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Opec, con il ministro del petrolio iraniano, Masoud Mirkazemi, che ha affermato, per le orecchie che vogliono intendere, che «il mercato petrolifero non va politicizzato» e che l’Organizzazione con sede a Vienna vuole espandere il proprio ruolo nella sicurezza degli approvvigionamenti energetici e delle linee di trasporto.
I contributi previsionali di politica internazionale per l’anno 2012 qui presentati sono stati sollecitati, nell’ambito dell’Osservatorio di politica internazionale, ai quattro autorevoli centri di ricerca italiani - CeSI, CeSPI, IAI ed ISPI - che con esso collaborano in via principale.