A spezzare la routine di una delle Convention a tratti monotona e a tratti aggressiva, in cui il presidente Trump ha parlato ogni sera, era stata Nikki Haley, ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Nel suo discorso per la rielezione del presidente, Haley ha parlato delle sue origini indiane dichiarando al contempo che gli Stati Uniti “non sono un paese razzista”.
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Juan Carlos di Borbone, sovrano emerito, lascia la Spagna travolto dalle inchieste per evasione fiscale e corruzione. Fuga dalla giustizia o atto dovuto per salvaguardare la monarchia?
Dopo giorni di proteste violente il presidente maliano Keita scioglie la Corte Costituzionale e apre al dialogo. Ma la piazza, che fa capo a un influente imam, insiste: si deve dimettere.
L’Eliseo di buon mattino annuncia le dimissioni del primo ministro Eduard Philippe. Dimissioni accettate dal presidente Emmanuel Macron che fa subito sapere di voler rapidamente indicare il nuovo capo del governo. E infatti, nemmeno tre ore dopo, viene nominato Jean Castex, anche lui repubblicano, ex consigliere di Sarkozy. Ma con caratteristiche diverse rispetto a primo ministro uscente.
Non c’è solo la guerra contro gli insorti houthi in Yemen. Ma dopo l’annuncio di un cessate-il-fuoco, lo scontro fra il governo filo-saudita e i secessionisti del sud appoggiati dagli Emirati Arabi Uniti forse è a un punto di svolta.
Secondo l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell “potremmo essere alla fine di un mondo a guida Usa”, e avverte: “crescono le pressioni per decidere da che parte stare”.
Covid-19 è stato identificato anche in Yemen e il conteggio dei casi è già fuori controllo. L’arrivo della pandemia non ha però fermato la guerra. E i fronti sono tornati due. Nel nord, insorti huthi, governo riconosciuto e bombardamenti sauditi proseguono nello scontro a dispetto del cessate-il-fuoco unilaterale formalmente iniziato dall’Arabia Saudita per limitare l’impatto del coronavirus.
Sul piano militare, la crisi siriana sembra attraversare un momento di relativa calma. L’accordo raggiunto dal presidente russo Vladimir Putin e il leader turco Recep Tayyip Erdoğan a inizio marzo ha messo fine a settimane di duri combattimenti che avevano visto, per la prima volta, l’esercito turco scontrarsi direttamente con le forze del regime siriano. Nonostante l’intesa, però, la regione nordorientale di Idlib, ultima sacca territoriale in mano all’opposizione armata, rimane l’area più calda del conflitto.
Da alcuni giorni sono riprese le proteste contro la crisi economica e il carovita in Libano. Questa volta la principale protagonista è soprattutto Tripoli, seconda città del paese e uno dei centri urbani più poveri del Medio Oriente.
Né il mese sacro del Ramadan, né lo spettro della diffusione di Covid-19, né gli appelli delle Nazioni Unite frenano i conflitti nel mondo arabo: lo Yemen è lì a dimostrarlo. Per fare una tregua, ancor prima di un cessate il fuoco, non bastano due interlocutori: in Yemen ce ne vorrebbero almeno una decina, tale è la frammentazione politico-militare degli attori locali ed esterni.