L’attuale crisi politica nei paesi del Nord Africa sta creando un’emergenza umanitaria di ampie proporzioni. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) dall’inizio della crisi in Libia all’11 marzo 2011 più di 230.000 persone sono fuggite dal paese, di cui la maggior parte verso la Tunisia (118.000 con una media di 2.500 al giorno) e l’Egitto (107.000) e, in minor misura, verso il Niger (2.000) e verso l’Algeria (4.300).
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L’instabilità politica creatasi all’interno dei paesi arabi del Golfo Persico, a seguito della crisi nordafricana, rende l’Iran ancor più importante nello scacchiere mediorientale. Il grado di influenza che la Repubblica islamica dell’Iran, a maggioranza sciita, può esercitare sulle realtà sciite presenti nei paesi arabi è di alto livello e capace pertanto di fomentare tensioni e disordini all’interno di questi paesi.
Anche l’Arabia Saudita corre il rischio di essere travolta dall’impeto protestatario che ha investito gran parte dei paesi arabo-islamici, ha fatto cadere Ben Ali e Mubarak e sta scuotendo i confinanti Yemen, Bahrein e da ultimo Oman, per non parlare del dramma libico in atto?
La crisi postelettorale nata dalla contestazione dello scrutinio presidenziale del 28 novembre scorso sta spingendo la Costa d’Avorio, il più ricco paese dell’Africa occidentale francofona, al collasso economico e verso una guerra civile in grado di destabilizzare l’intera regione. Tale eventualità, tra l’altro, unirebbe consistenti flussi migratori a quelli ora in partenza dalle coste dell’Africa settentrionale alla volta dell’Europa.
Delle guerre in corso si dice che quasi sempre si sa come sono iniziate ma mai come finiranno. Della Rivolta Araba non sono ancora ben chiare alcune fasi della sua genesi e certo è impossibile dire dove porterà. Verso fine febbraio, dopo le “rivoluzioni” tunisina ed egiziana e nel pieno di quella libica, tra i molti quesiti più immediati, uno riguardava il possibile “contagio” della Rivolta.
L’evoluzione della situazione in Libia rischia potenzialmente di mettere a repentaglio le relazioni economiche ed energetiche con l’Italia. È un rischio che corrono molti paesi occidentali ma che, per intensità di rapporti, minaccia maggiormente l’Italia, primo partner commerciale di Tripoli.
Saranno la Turchia e l’Iran a emergere come paesi leader dopo le rivolte arabe. Entrambi i paesi sono convinti di essere i veri modelli politici su cui puntano le sommosse popolari: la democrazia post-kemalista e vetero-islamica di Ankara, e la teocrazia militarizzata di Teheran. Le azioni diplomatiche e commerciali messe in atto negli ultimi anni dimostrano come sia la Turchia sia l’Iran, vogliono ritagliarsi il ruolo di guida del quadrante.
Gli approvvigionamenti di gas naturale costituiscono un aspetto fondamentale della sicurezza energetica italiana. Il gas, infatti, soddisfa oltre un terzo del fabbisogno complessivo di energia del paese ed è impiegato sia per usi domestici e industriali sia per la generazione di energia elettrica. Inoltre, la produzione interna è andata costantemente diminuendo nei decenni passati e ora copre circa il 10% della domanda: ne deriva una sostanziale dipendenza da fornitori stranieri, con importanti ricadute in termini di sicurezza.
Encouraged by a somehow successful youth uprising in Tunisia, Egypt’s youth – free of any political or religious influence – organized online for the “day of anger” using the virtual social network Facebook. It is what came rapidly to materialize into a “Youth Revolution” taking place on January 25, not only in Cairo but also in another 11 main governorates out of the country’s 29. Demonstrations initially raised the slogan of “Freedom, Dignity, Humanity” and were greatly admired and joined by various opposition currents.
In the current Mediterranean crisis, the variables characterizing the events in Tirana are very peculiar. They do not relate to an autocratic regime in crisis, but to a fragile and imperfect democracy. The rebellion has remained limited in time and space. The scenarios that may arise from it total three: a continuing stalemate with government and opposition that persist in challenging one another; early elections; an escalation of violence that would destabilize not only the political framework but also the stability of the state institutions.