Mentre la maggior parte dei media internazionali è focalizzata su altre gravi crisi come il Mali e la Siria – senza contare le difficili transizioni in Egitto e Tunisia – fuori dai riflettori l’Iraq sta lentamente scivolando verso scenari potenzialmente esplosivi, che non escludono conflitti settari e la divisione del paese.
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Dopo anni di silenzio, l’Eritrea è tornata a far parlare di sé lunedì 21 gennaio. Un centinaio di militari guidati dal colonnello Osman Saleh, comandante dei reparti di stanza ad Assab (al Sud vicino al confine con Gibuti), ha preso d’assalto il ministero e diffuso dai microfoni della televisione di Stato un appello che chiedeva riforme e la liberazione dei prigionieri. Saleh, eroe della guerra contro l’Etiopia degli anni 1998-2000, e i suoi uomini, dopo un breve negoziato con le forze lealiste, avrebbero poi deciso di ritirarsi a Serejaka, 25 chilometri dalla capitale.
Con l’insediamento della nuova amministrazione Obama si chiude (almeno formalmente) la lunga fase d’incertezza che ha seguito la riconferma del presidente uscente nelle elezioni dello scorso novembre. Ciò, a maggior ragione, nel delicato settore della politica estera, che, negli ultimi mesi, ha assistito all’evidente “smarcamento” di Washington da tutte le principali vicende. Rimane invece aperta alla speculazione quella che sarà la postura internazionale di Washington nei quattro anni che si prospettano.
Il 23 gennaio la Giordania torna alle urne per eleggere la nuova Camera Bassa del Parlamento (Ma-jlis an-Nuwab), sciolta da Re Abdallah II lo scorso 10 ottobre in seguito a una perdurante crisi politica che ha portato all’avvicendamento di ben 4 premier nell’arco degli ultimi 18 mesi. Come già avvenuto in Tunisia, Marocco ed Egitto, anche in Giordania i partiti islamici sono i grandi favoriti, sebbene essi stessi ripetano da mesi appelli al boicottaggio e al rinvio delle elezioni in polemica con il sovrano per una riforma elettorale che non li soddisfa.
Inizia oggi il secondo mandato di Obama. La costituzione americana non gli permetterà, fra quattro anni, di ricandidarsi e libero da scadenze elettorali (salvo le elezioni di metà mandato) potrà cosi concentrarsi a definire i tratti dell’eredità storica che lascerà al termine dei suoi otto anni di presidenza.
I sondaggisti non hanno dubbi: per il premier uscente Benjamin Netanyahu e per la sua lista Likud-Beitenu e l'intero blocco politico della destra nazionalista e confessionale, il voto sarà una passeggiata. Nessuno potrà sbarrare la strada a re Bibi – così la stampa chiama il primo ministro – nella sua corsa al terzo mandato.
Secondo i bookmaker il 2013 sarà l’anno della svolta tra Iran e Israele. Lo strike contro le installazioni atomiche potrebbe materializzarsi a breve. «Entro la prossima primavera, al massimo la prossima estate» ha detto a settembre nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu Benjamin Netanyahu – se avanza agli attuali livelli di arricchimento (di uranio) Teheran sarà a pochi mesi, forse, a poche settimane, dall’ottenere il quantitativo di uranio necessario per la sua prima bomba».
L’intervento militare francese in Mali che si sta sviluppando in queste ore suscita qualche interrogativo non ozioso sul piano della legittimità internazionale e su quello delle strategie politiche perseguite dalla Francia sul continente africano e nel mondo.
Il 2012 è terminato con il conferimento del Premio Nobel per la pace all’Unione Europea per aver contribuito per più di 60 anni alla pace e alla riconciliazione e per aver garantito democrazia e diritti umani nel vecchio continente. Durante la cerimonia di consegna del Premio, il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, ha citato John F.
Il petrolio, croce e delizia del Venezuela e dei suoi governi. Sembrerebbe un paradosso eppure in questo paese l’oro nero da componente importante dell’export si è progressivamente trasformato nell’asset fondamentale per la sopravvivenza propria e, come vedremo, altrui.