Il secondo anno di presidenza di Obama è stato più difficile del primo. Si chiude infatti con un insuccesso elettorale e con un franco e insolito riconoscimento di responsabilità da parte sua. Quando si va indietro con la mente alle aspettative di novità e di progresso suscitate a suo tempo dall’elezione di questo brillante e innovativo presidente, i risultati effettivamente raggiunti appaiono piuttosto deludenti e non gli sarà agevole ora risalire la china per affrontare al termine del suo mandato una nuova consultazione popolare.
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Da acuta che era, la crisi mondiale è diventata cronica. La produzione ha smesso di scendere quasi ovunque ma, a fine 2010, nessun paese ricco ha ancora recuperato i livelli pre-crisi; la disoccupazione è fortemente aumentata senza prospettive di un rapido riassorbimento; le finanze pubbliche sono precarie; l’assetto del mondo risulta in rapido cambiamento a favore dei paesi emergenti.
Nessuno si azzarda a fare previsioni. È il segno di quanto la situazione in Costa d’Avorio sia intricata e di quanto l’esito positivo o negativo – dipenda da elementi aleatori e legati alle personalità dei principali attori in campo e forse dagli attori esterni.
Verso la fine di novembre, alla vigilia di una visita in Germania, Vladimir Putin ha scritto un articolo per la «Sueddeutsche Zeitung» proponendo all’Europa di lanciare insieme alla Russia «una nuova ondata di industrializzazione»: alleanze strategiche dal settore dell’auto al nucleare, un’infinita area di libero scambio tra Lisbona e Vladivostok.
Il 2010 è stato un anno particolarmente violento per il Kirghizistan, piccola repubblica dell’Asia Centrale post-sovietica. Proteste popolari causate dagli aumenti delle tariffe per metano ed elettricità ed una coalizione alquanto eterogenea di élite hanno portato al secondo cambio di regime in cinque anni.
Delle elezioni storiche
Previste per l’ottobre del 2005 e posticipate a più riprese, le elezioni presidenziali in Costa d’Avorio si sono tenute nella calma e senza rilevanti difficoltà domenica scorsa 31 ottobre. Secondo quanto dichiarato il 4 novembre dalla Commissione elettorale indipendente (Cei), il 28 novembre si presenteranno al ballottaggio l’attuale presidente della Repubblica Laurent Gbagbo (38,3%) e l’ex primo ministro Alassane Ouattara (32,1%).
A pochi giorni dalle midterm elections il New York Times esce con questo titolo in prima pagina: Tea Party Set to Win Enough Races for Wide Influence. E ammette che il Tea Party o meglio i Tea Parties, perché ce ne sono dozzine, centinaia, in pochi mesi hanno raggiunto una diffusione tale da diventare la forza trainante del conservatorismo americano e da «influenzare largamente» la politica federale.
Le elezioni statunitensi di mid-term sono ormai vicine e i sondaggi indicano che in entrambi i rami del Congresso – attualmente a maggioranza Democratica – vi sarà un successo dei Repubblicani che probabilmente prevarranno alla House mentre resteranno in minoranza al Senate, pur riducendo il distacco in seggi che oggi li separa dal partito del presidente.
È stata necessaria una mediazione diretta tra Angela Merkel e Nikolas Sarkozy, per sbloccare il braccio di ferro che da settimane spaccava a metà i 27 membri dell’Unione europea sul nocciolo del nuovo patto europeo di stabilità da far succedere al “patto stupido” precedente.
L’Europa ancora una volta avanza per necessità e non vede la necessità se non nella crisi, secondo il più citato degli insegnamenti di Jean Monnet. L’Unione Europea torna ad affidarsi a una filosofia bizzarramente marxista elaborata da liberali (l’economia determina la politica che condiziona la strategia), innestata su una sequenza rigorosamente cartesiana di trattati trascinati da un calendario.