Cinquant’anni fa nasceva l’OUA, l’Organizzazione dell’Unità Africana, promessa e premessa del panafricanismo realizzato e strumento di resistenza al sistema bipolare. Era il 1963: l’Africa sanciva la propria unione sulla base del comune passato coloniale e della liberazione recente, in nome di un futuro in cui lo sviluppo economico e sociale era già percepito come chiave per la sopravvivenza degli stati nascenti.
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Da sempre la Svezia (e gli altri paesi nordici) sono considerati un’oasi di civiltà e benessere, in cui le generose politiche di welfare si sono accompagnate ad altrettanto generose politiche di asilo e immigrazione. Politiche che hanno attirato negli anni un numero crescente di immigrati e richiedenti asilo: si parla di 100.000 persone all’anno, con il risultato che oggi un quarto della popolazione svedese è di origine straniera.
Negli ultimi mesi il fronte del jihad è sembrato ridefinirsi attraverso nuove direttrici: dall’Iraq alla Siria e da qui verso l’Egitto e la Libia, attraversando il deserto dell’Algeria e del Mali sino alla parte settentrionale della Nigeria.
Le relazioni tra Stati Uniti e Pakistan, ufficialmente stabilite il 20 ottobre del 1947, due mesi dopo la separazione dall’India, sono sempre state caratterizzate da una forte componente militare, stante l’immediata e costante necessità di armamenti del giovane stato, che nel 1956 divenne una repubblica islamica.
Nel 2008, quando le elezioni parlamentari hanno riportato al potere il Pakistan People’s Party (PPP) dopo nove anni di regime militare e Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, è stato eletto presidente, si è sperato che la svolta democratica potesse facilitare il ripristino dell’ordine e della sicurezza in un paese lacerato da violenze religiose e tensioni etniche, ridimensionare gli elementi religiosi estremisti e ricomporre le fratture politiche interne.
Se il palcoscenico internazionale fosse un parco di divertimenti, l’immagine che meglio si presterebbe a rappresentare le relazioni tra Iran e Pakistan sarebbe quella di un ottovolante: alti e bassi, in continuo mutamento. L’Iran che nell’agosto 1947 fu il primo paese a riconoscere ufficialmente il Dominion del Pakistan all’indomani della sua nascita era un Iran profondamente diverso da quello odierno.
Il voto con il quale, il prossimo 11 maggio, verranno determinati i nuovi equilibri politici pakistani giunge in un momento estremamente delicato del conflitto afghano. È ben difficile, tuttavia, che possa dispiegarvi apprezzabili conseguenze, e men che mai di positive.
Il tour mondiale della blogger cubana Yoani Sánchez, che ha toccato anche l’Italia, ha rilanciato il tema della transizione post-castrista di Cuba. Probabilmente gli osservatori più attenti all’“offerta politica” (in senso lato) della Sánchez saranno rimasti molto delusi dalla totale assenza di un qualsivoglia progetto politico di ampio respiro per il futuro dell’isola .
Le prossime elezioni in Pakistan saranno le prime in cui un governo democratico cederà il passo a un altro deciso dall’esito delle urne e non da un colpo di stato militare. Che la qualità dei leader politici rimanga bassa, e il livello di corruzione altissimo, non è privo d’importanza e potrebbe oscurare le prospettive di graduale consolidamento del processo democratico, pronosticato forse con troppo entusiasmo dall’Economist.