Xi Jinping è davvero il nuovo Mao? Quanto è fondata la convinzione che abbia il pieno controllo sul partito? Le sue teorie politiche verranno codificate nello Statuto del partito? E si comincerà già a parlare del suo successore? Sono questi gli interrogativi che aprono il Diciannovesimo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) che prende avvio il 18 ottobre.
Risultati della ricerca:
Sebbene molto più importante del precedente per capire il corso futuro delle riforme politiche in Cina, il congresso del PCC sarà invece meno determinante per capire dove andranno le riforme economiche, perché l’impronta che il Presidente Xi ha dato alla modernizzazione del sistema economico è già ben chiara, se non dal 2012, di certo dal 2014.
Più qualità e risalire nella catena globale del valore grazie ad un piano di piena ristrutturazione del settore industriale cinese: sono gli obiettivi del piano Made in China 2025 lanciato nel 2015. I pilastri del progetto possono essere identificati nelle linee principali del New Normal, ovvero un’attenzione alla qualità della crescita con un focus sulle innovazioni tecnologiche e sulla so-stenibilità ambientale.
Dei russi, degli americani, dei francesi e dei tedeschi; degli egiziani o degli israeliani; dei giapponesi o dei cinesi: di tutti ci sarà capitato una volta di pensar male. Perfino degli svedesi. Ma non dei catalani! Gentili, colti, ospitali, palato fine nel cibo come nel gioco del calcio, privi della prosopopea da conquistadores dei madrileni.
Qual è la minaccia più grave per l’Italia? Donald Trump è un esempio da imitare o un fattore di instabilità mondiale? La Corea del Nord è un pericolo per la pace? Ecco la percezione degli italiani su alcuni dei temi più caldi dell’attualità internazionale. Il sondaggio è stato commissionato da ISPI e Rainews24 e realizzato da IPSOS su un campione di oltre 1000 interviste effettuate tra il 26 e il 27 settembre.
Le minacce più sentite: crisi economica ancora prima (ma in flessione), immigrazione seconda
Il continente africano, e in particolare l’area a sud del Sahara, rimane quello più arretrato al mondo dal punto di vista energetico. Immaginando un contatore della luce come quelli in uso tradizionalmente nelle nostre case, impiegato a pieno carico, il consumo medio annuo di una famiglia residente in Africa subsahariana rasenta la settimana.
Né un nuovo think tank, né un fan club africano del presidente. Però sì, una promessa elettorale mantenuta che punta ad allargare lo sguardo francese sul continente, per andare oltre le crisi securitarie e migratorie di cui oggi sembrano ostaggio le politiche europee e per riservare un occhio di riguardo alle opportunità imprenditoriali e di sviluppo che l’Africa offre.
Sbagliano entrambi, sia Madrid sia Barcellona. Non a pari responsabilità, ma con motivazioni diverse che sarà importante analizzare per comprendere meglio l’impasse in cui oggi si trova la Spagna intorno alla questione dell’indipendenza catalana.
Il referendum sull'indipendenza della Catalogna di domenica 1° ottobre è sfociato nel caos, con scontri di piazza, numerosi feriti e crescenti tensioni tra Madrid e Barcellona. La domanda posta agli elettori nella scheda era molto precisa: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. Gli avvenimenti si susseguono a ritmo frenetico e sul piano politico, economico e giuridico sono ancora incerte le conseguenze di ciò che sta accadendo.
In quanto iniziativa volta alla creazione di una rete di infrastrutture – porti, ferrovie, strade, ponti – per aumentare, tra gli altri motivi, l’efficienza dei collegamenti tra Europa e Asia, OBOR (One Belt One Road) avrà un forte impatto anche sui settori della logistica e del trasporto internazionale.