L’Algeria ha fama di essere uno stato a governo “forte”. Eppure da mesi è come se fosse senza presidente. Il presidente in carica Abdelaziz Bouteflika, già sofferente da anni per un male non meglio identificato allo stomaco, ha avuto in aprile un insulto ischemico, che non avrebbe però leso organi vitali. È stato a lungo in cura in ospedali francesi. La prima immagine durante la convalescenza fu trasmessa in giugno per mettere a tacere i dubbi sulle sue condizioni reali. In luglio ha fatto ritorno ad Algeri.
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Le recenti dichiarazioni del presidente iraniano Rohani e la conseguente storica telefonata con la sua controparte statunitense, Barak Obama, possono aver quantomeno sconcertato il più fedele alleato di Teheran, Hezbollah. Intendiamoci, non basta uno scambio di battute al telefono per risolvere trenta e passa anni di frizioni diventate rancori e tensioni che, più volte, hanno rischiato di collassare in uno scontro armato.
In queste settimane di colpi di scena e dichiarazioni contraddittorie il mondo ha seguito le vicende siriane con un’attenzione mai avuta prima in questi due lunghi anni di conflitto civile. L’attacco americano, che sembrava ormai imminente, si è improvvisamente trasformato in un inedito accordo a tre – regime siriano, Stati Uniti e Russia con la supervisione delle Nazioni Unite – riguardante la distruzione dell’arsenale chimico di Bashar al-Assad entro la metà del 2014.
La dichiarazione di lunedì notte in cui l’esercito keniota affermava di avere ormai il controllo su quasi tutto il Westgate Mall, nonostante alcuni membri del commando di Al Shabaab fossero e siano ancora asserragliati all’interno del centro commerciale, può essere considerata una buona metafora di ciò che continua ad accadere sul piano regionale.
Due buone notizie per l’Europa, se… La prima buona notizia è che il trionfo della Merkel ha fermato la spinta euroscettica crescente nell’opinione pubblica tedesca.
I greci seguono le elezioni tedesche con interesse piuttosto distaccato. Non si aspettano granchè dal loro esito. Sia i media che le forze politiche sembrano convinti che non ci saranno cambiamenti nella politica economica che la Germania detta e impone, fin da quando è scoppiata la crisi del debito, a tutta l’Unione Europea.
La ribellione siriana, prima pacifica e poi armata, ha già mietuto 100 mila morti, 2 milioni di rifugiati e circa 5 milioni di sfollati. Da quando l’America di Obama è entrata prepotentemente in scena minacciando di bombardare obiettivi del regime di Damasco, questa ennesima tragedia mediorientale è rientrata nelle prime pagine dei giornali e dei telegiornali di tutto il mondo. «Obama bombarderà la Siria», oppure «Obama rimanda il bombardamento della Siria», sono i titoli “standard” che incontriamo sempre più frequentemente in queste ultime settimane.
Negli ultimi 40 anni l’11 settembre è stato foriero di due eventi fortemente traumatici: l’ultimo è stato l’attentato terroristico alle torri gemelle del 2001 che ha innescato una spirale di guerra ancora ben lungi dall’essersi conclusa.
Nel Nord Kivu si rivive uno scenario già visto. Dichiarazione e smentite di Kigali e Kinshasa si susseguono, mentre l’unico dato oggettivo risulta essere la mancata assunzione di precise responsabilità politiche da parte di Joseph Kabila, presidente della Repubblica democratica del Congo (RDC), e di Paul Kagame, presidente del Ruanda.
Il vertice del G20 in programma a San Pietroburgo il 5 e 6 settembre era stato pensato per discutere di temi economico-finanziari che ruotano attorno alla sfida di costruire una governance planetaria, per promuovere la crescita sostenibile e l’occupazione, proprio nel momento in cui vengono a galla difficoltà e freni nella dinamica delle economie emergenti.