Il recente referendum sullo status della Crimea e il successivo avvio dell'iter di annessione alla Russia sembrerebbero costituire un significativo precedente per quelle regioni del cosiddetto “Estero Vicino” russo che aspirano alla propria indipendenza o, quanto meno, a tornare effettivamente sotto la guida moscovita.
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Il referendum sull’indipendenza della Crimea della Ucraina del 16 marzo 2014 ha con-fermato anche nei numeri la forza dell’opzione secessionista nella penisola che Nikita Chruščëv aveva ceduto a Kiev nel 1954, in occasione del 300º anniversario del trattato di Pereyaslav. Si tratta di un risultato scontato e ampiamente anticipato dagli osservatori.
In Corea del Nord, la vittoria alle elezioni del Fronte Democratico per la Riunificazione Nazionale, il partito guidato da Kim Jong-un, è stata suggellata da un plebiscito (99,97%) e dalla totalità di croci che hanno votato “sì” per i candidati proposti dal partito, uno in ogni circoscrizione. L’annuncio della Korean News Central Agency prende così le sembianze della beffa per chi osserva dall’esterno.
In preparazione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, la delegazione dell’EIGE -European Institute for Gender Equality, agenzia europea per l’eguaglianza di genere con sede a Vilnius, guidata dalla direttrice Virginjia Langbakk, ha avuto a Roma dal 17 al 19 febbraio una serie di incontri. È stata un’opportunità di confronto e conoscenza tra istituzioni italiane e l’istituzione europea sul tema della parità di genere. Ma anche l’occasione di un bilancio.
Cosa non darebbe il presidente venezuelano Maduro per coinvolgere Barack Obama nella crisi del suo paese! Sarebbe l’occasione d’oro per presentarla come i populismi d’ogni epoca e latitudine concepiscono la storia: un titanico scontro tra Bene e Male, Popolo e Impero, Libertà e Schiavitù. Come una guerra di religione in nome della quale chiamare il popolo, che gli sta sfuggendo di mano, all’unità. Anzi: all’unanimità.
In questa intervista l'ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo sottolinea come i legami storici, geopolitici e culturali, tra Kiev e Mosca consentano alla Russia di percepire l'Ucraina come qualcosa di molto vicino e di quasi “nazionale” e non come come “politica estera”. In questa scenario un intervento militare della Nato per gestire la crisi ucraina sarebbe una follia. La Nato deve quindi puntare a mantenere un senso dell’equilibrio che miri a trovare un compromesso con la Russia e non lo scontro.
Sulla Siria, Riyadh non lascia, ma forse raddoppia. Nonostante il dossier siriano sia passato dal tavolo del “vivace” capo dell’intelligence Bandar bin Sultan al-Sa‘ud a quello del più “istituzionale” ministro degli Interni, l’Arabia Saudita non intende frenare il proprio coinvolgimento nel conflitto di Damasco. Due eventi recenti vanno in questa direzione.
Per capire la portata quantomeno simbolica del riavvicinamento tra il Cairo e Mosca basta notare l'irritazione di Washington che attraverso il Dipartimento di Stato replica piccata all'endorsement di Putin alla candidatura del ministro della Difesa al Sisi alla poltrona che fu di Mubarak: «Noi non sosteniamo nessuno e non credo che, molto francamente, spetti agli Stati Uniti o al signor Putin decidere chi debba governare l'Egitto» fa sapere la portavoce Marie Harf.
Se la priorità per Washington è oggi bloccare l’escalation di provocazioni tra Cina e Giappone per evitare che la tensione in Estremo Oriente rischi di divenire ingovernabile e che la strategia del Pivot to Asia si trasformi in un boomerang per il presidente Barack Obama, la visita che nello scorso fine settimana il ministro degli Esteri giapponese, Kishida Fumio, ha effettuato negli Stati Uniti non ha fornito alla Casa Bianca molti motivi di soddisfazione.
La Bosnia-Erzegovina è scesa in strada e da quasi una settimana le proteste vanno avanti non solo a Sarajevo ma nelle maggiori città del paese, specialmente della Federazione di Bosnia-Erzegovina (Federacija). Stanchi della soffocante paralisi economica, il cui caso degli operai di Tuzla è solo un piccolo esempio, i bosniaci hanno indetto una manifestazione di massa, consapevoli che nessun partito e nessuna istituzione, dopo vent’anni di imbrogli e paranoie nazionaliste, è più affidabile.