La Tunisia si appresta il 23 ottobre 2011 a uno scrutinio elettorale del quale è percepita la portata storica sia dai tunisini, sia da quella parte dell’opinione pubblica internazionale che, dal 14 gennaio 2011, sta seguendo con estrema attenzione la costruzione democratica di questo piccolo paese. Gli elettori sono chiamati a votare, secondo il sistema proporzionale, la composizione dell’Assemblea (217 membri), che dovrà consegnare (forse entro un anno) una nuova Costituzione alla Tunisia.
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La rivoluzione porta la libertà, o la promette: già così ha una responsabilità formidabile i cui esiti ultimi sono tutt’altro che scontati. Tutte le rivoluzioni fanno ancora più fatica a portare pane e lavoro a chi le ha sognate o realizzate. Cosa prevaleva nel movimento che partendo da un villaggio anonimo ha investito Tunisi e la Tunisia ed è culminato nell’esautoramento di Zine El Abidine Ben Ali? Finora si è trattato soprattutto di libertà ma non è detto che l’intendenza seguirà. Le elezioni da sole non sono neppure un punto d’arrivo.
Per la seconda volta in nove mesi la Tunisia sarà sotto i riflettori dell’attenzione internazionale.
La prima volta fu per l’improvvisa e imprevista eruzione della rivolta che nel giro di un paio di settimane defenestrò Ben Ali e innescò quel processo protestatario della Primavera araba che sta ancora attraversando gran parte del mondo arabo.
Le consultazioni del 23 ottobre prossimo per l’elezione dell’Assemblea costituente rappresentano la prima vera prova di democrazia nella nuova Tunisia uscita dalla Rivoluzione dei gelsomini, dopo 23 anni di dominio incontrastato dell’ex presidente a vita Zine al-Abidine Ben Ali. Il carattere popolare di una Rivoluzione “senza leaders” in combinazione con il dinamismo di una società civile composita fanno delle prossime elezioni un reale esercizio di democrazia al di là delle forme.
Questo mese si discuterà all’ONU dell’iniziativa dell’ANP per il riconoscimento diplomatico dello stato palestinese da parte dell’Assemblea Generale. Tuttavia – e al di là del valore simbolico della creazione di un “non-member observer state” palestinese (il pieno riconoscimento come stato membro può essere garantito solo dal Consiglio di Sicurezza) – l’iniziativa rappresenta l’estrema risposta dell’ANP all’inabilità di Obama di far avanzare in modo sostanziale il negoziato israelo-palestinese.
La Bce ha l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, fissato dal Trattato. Lo interpreta perseguendo un tasso di inflazione dei prezzi al consumo leggermente inferiore al 2%, calcolato sul medio termine e per l’intera area dell’euro. È giustamente orgogliosa del sostanziale successo che finora ha avuto nell’ottenere il risultato desiderato e preannunciato e nel far sì che l’inflazione attesa dagli operatori sia coerente con quella da lei perseguita. L’influenza sulle aspettative è un indicatore di credibilità.
Nella generale difficoltà che accompagna l’analisi e la comprensione dei fenomeni in corso, di una cosa possiamo tuttavia essere certi: la crisi libica è stata caratterizzata da dinamiche talmente uniche e particolari da rendere sospetta, o quantomeno ambigua, la vulgata ufficiale della stampa e dei governi che a vario titolo vi hanno preso parte.
Se fra i motivi che hanno spinto i militari egiziani a collaborare alla rimozione di Moubarak c’era l’intento di restituire l’Egitto al suo ruolo naturale di centro del mondo arabo e del Medio Oriente, non è detto che i fatti libici siano coerenti con quell’obiettivo.
Dopo 42 anni di dittatura maniacale e monolitica le sfide a cui la Libia deve fare fronte sono molte. Non si tratta solo di curare le profonde ferite lasciate dal conflitto, ma di ricostruire in pratica dal nulla il sistema di governo e la società civile. L'ambiente è fragile: un recente studio della Columbia University di New York stima a 43% le possibilità di guerra civile.
Il 7 luglio il presidente Saleh è comparso in video per la prima volta dopo l’attentato dinamitardo subito il 3 giugno nella moschea del palazzo presidenziale e il ricovero in un ospedale militare a Riad in Arabia Saudita. Visibilmente provato per le ferite e le ustioni riportate nell’attentato, Saleh ha affermato di essere favorevole a una condivisione del potere con l’opposizione purché all’interno di una cornice costituzionale.