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L’arco di instabilità che si estende dall’Iran al Marocco non sembra mostrare per il momento segnali di affievolimento: sono infatti ancora numerosi i focolai di crisi in cui attori interni ed esterni sono sempre più coinvolti. Queste aree di conflitto - dalla Siria alla Libia e allo Yemen - sono spesso inserite in un più ampio contesto geopolitico, in cui l'emergere di nuovi equilibri e l’avvio di processi di transizione possono ostacolare il ripristino di condizioni favorevoli al ritorno della pace.
È da oggi disponibile online il nuovo approfondimento su “La politica regionale della Repubblica islamica di Iran” curato da ISPI per l’Osservatorio di politica internazionale di Senato, Camera dei Deputati e MAECI. L’approfondimento mira a esaminare il ruolo dell’Iran nel Medio Oriente di oggi. Nella prima parte vengono prese in esame le principali direttrici dell’azione iraniana nella regione, le priorità di politica estera del Paese, e il modo in cui la percezione delle minacce esterne si riflette sull’operato iraniano nei diversi teatri regionali.
Questo lavoro nasce dall’esigenza di studiare quei dettagli delle indagini sfuggiti alla cronaca giornalistica e di sistematizzare i dati per una comprensione più puntuale, sebbene non esaustiva, delle tendenze che interessano la Liguria in materia di radicalizzazione e terrorismo di matrice jihadista, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2018.
Il 25 novembre 2018 si è consumato il primo scontro militare diretto tra le forze armate russe e quelle ucraine dall’inizio del conflitto. Fino a quel momento, la Russia ha sostenuto che il conflitto era sostanzialmente un conflitto interno all’Ucraina, pur avendo ammesso [1] alla fine del 2015 la presenza militare russa nei territori orientali del paese, controllati dai ribelli.
La regione MENA si trova di fronte a un significativo aumento della domanda di energia elettrica, conseguenza dell’espansione delle attività del settore industriale e delle costruzioni. È quanto emerge dal MENA Power Industry Outlook, che stima in 6,2 miliardi di dollari il valore totale dei progetti elettrici nella regione a fine settembre 2018.
Il Corno d’Africa è tornato negli ultimi anni a essere un’area di crescente interesse geopolitico e strategico per l’Italia e molti altri Paesi europei. Seppure in ritardo rispetto ad altri attori internazionali e regionali, l’Unione Europea e il nostro Paese hanno rilanciato la propria presenza nella regione, puntando a garantire livelli di cooperazione diffusa e rafforzata in più settori con i principali attori locali. Come si articola la strategia europea nell’area e quali sono gli interessi dei principali player europei sul campo? Come si posiziona l’Italia?
In Camerun soffia un nuovo vento di cambiamento? A giudicare dal fermento che agita i social media del paese dopo le elezioni presidenziali di domenica 7 ottobre, sembrerebbe di sì. Basandosi su stime costruite sulle pubblicazioni dei risultati da parte dei singoli seggi, dalla sera stessa di domenica hanno cominciato a dichiarare la sconfitta di Paul Biya, secondo presidente più longevo del continente attualmente in carica.
Incastonato tra Asia e Africa e avamposto verso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, il Corno d’Africa è una penisola diventata nell’ultimo quindicennio protagonista di fenomeni e dinamiche politico-economiche rilevanti a livello globale, tali da renderla estremamente importante, corteggiata e a tratti addirittura ambita.
Lo scorso 8 maggio il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action, Jcpoa), raggiunto dai paesi P5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania) nel luglio 2015. Tale decisione è stata guidata dalla politica dell’“America first”, secondo la quale le decisioni degli Stati Uniti vengono prese esclusivamente in base a motivazioni di interesse nazionale, senza tenere conto né di impegni assunti in precedenza con gli alleati né di considerazioni di sicurezza collettiva.