Il 20 maggio il Parlamento europeo ha approvato un testo che introduce la tracciabilità obbligatoria per le 800mila imprese dell’UE che utilizzano, per la fabbricazione dei loro prodotti, i minerali provenienti da aree interessate da guerre. Le imprese dovranno garantire informazioni «su tutte le misure prese per identificare e risolvere i rischi connessi alla loro catena di approvvigionamento». In pratica, s’istituisce un sistema di tracciabilità dei minerali provenienti da aree di conflitto.
Le elezioni in Etiopia non sono elezioni aperte a risultati sgraditi al governo. Il vincitore, come in ogni elezione dal 1995 a oggi, sarà l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (Eprdf), che governa il paese ininterrottamente da un quarto di secolo. Se però le elezioni fossero state davvero competitive, e se, come spesso nelle democrazie avanzate, la performance economica di Addis Abeba svolgesse un ruolo nell’orientare il voto del suo elettorato, l’Eprdf avrebbe comunque buone ragioni per sentirsi il favorito alle urne.
Per la quinta volta dalla fine del regime militare del Derg, il 24 maggio l’Etiopia andrà al voto per l’elezione del parlamento e quindi di un “nuovo” governo. Il National Electoral Board of Ethiopia (Nebe), la commissione istituita nel 1992 per vigilare sulle votazioni, ha registrato i candidati di 58 partiti.
La geopolitica del Corno si è sempre articolata nella dialettica fra un Centro dominante e Periferie irrequiete. Storicamente, l’impero cristiano ha imposto la sua vocazione egemonica nella gestione delle risorse materiali e immateriali alla frammentata galassia delle entità musulmane che gli facevano corona.
Un colpo di stato lampo quello annunciato e poi fallito in Burundi. Il presidente Pierre Nkurunziza è ora rientrato nel paese dalla Tanzania, dove si trovava per discutere della crisi politica in atto al momento del tentato coup. Il generale Godefroid Niyombareh, l’uomo che aveva annunciato via radio la presa di potere dei militari ha ammesso la sua sconfitta. Niyombareh è ora in fuga, mentre due dei suoi uomini sono stati arrestati.
«Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi. Sono uomini e donne come noi. Fratelli nostri che cercano una vita migliore. Affamati, perseguitati, feriti, sfruttati. Vittime di guerre. Cercano una vita migliore. Cercano la felicità». Così Papa Francesco ha ricordato nell’Angelus domenicale la tragedia avvenuta sabato notte a 70 miglia dalla costa libica, in cui sarebbero morte 700 persone.
Diciamoci la verità, la maggior parte di chi si avvicina al mondo della cooperazione lo fa perché spera un giorno di partire verso mete esotiche dove lavorare sul campo a contatto con le realtà locali. Un lavoro d’ufficio dietro un computer e una scrivania difficilmente potrà dare le stesse soddisfazioni e suscitare lo stesso entusiasmo. E invece non è così. (...)
L’ipotesi peggiore è stata scongiurata. Dopo un rinvio, le elezioni in Nigeria si sono svolte in condizioni quasi regolari. Non sono mancate violenze e carenze organizzative ma le pecche non sarebbero tali da mettere in dubbio il risultato complessivo. Un insuccesso della Nigeria sarebbe stato e sarebbe una disfatta per tutta l’Africa. La vittoria di Mohammadu Buhari dovrebbe avere, almeno nell’immediato, un effetto stabilizzante.
Giovanni Carbone (PhD, London School of Economics) is Head of the ISPI Africa Programme and Full Professor of Political Science at the Università degli Studi di Milano. His research focuses on geopolitics, politics and economic development in sub-Saharan Africa, and, over the years, he conducted fieldwork in Uganda, Ghana, Kenya, Cameroon, Rwanda, Mozambique, Namibia, Senegal and South Africa.
Giovanni was previously a Research Associate at the Crisis States Programme of the London School of Economics and the Principal Investigator of a European Research Council (ERC) project.
Il 7 marzo, attraverso un audio-messaggio pubblicato su un account Twitter, Abubakar Shekau, leader del gruppo terrorista nigeriano Boko Haram, ha rivolto una promessa di fedeltà (bayah) allo Stato Islamico (IS). La richiesta sembra essere stata accolta, poiché il 12 marzo, Mohammed al-Adnani, portavoce dell’IS, ha annunciato che Baghdadi ha accettato il patto di alleanza e sottomissione, anche se gli esperti attendono ulteriori conferme ufficiali.