Il fallito colpo di stato in Turchia rappresenta solo l’ultima, in ordine di tempo, fra le crisi che l’amministrazione Obama è stata chiamata ad affrontare. Di primo acchito, la reazione della Casa Bianca sembra evidenziare una volta di più le incertezze e i timori della sua politica estera.
Le primavere arabe del 2011 hanno colto l’amministrazione americana impreparata. L’eredità raccolta dalla presidenza Bush nella politica mediorientale gravitava intorno a spazi geopolitici diversi: il cuore e imbuto della penisola arabica rappresentati dall’Iraq, la periferia est del Medio Oriente “allargato” dove la priorità è stata la stabilizzazione dell’Afghanistan e sullo sfondo l’annosa questione palestinese.
Con la conferma da parte del Congresso di John Kerry a segretario di stato della nuova amministrazione Obama va a posto un tassello importante nel puzzle della squadra di governo; questo proprio nel momento in cui, oltre alle crescenti tensioni internazionali, le incertezze intorno alla conferma di Chuck Hagel al Dipartimento della Difesa concorrono a rimescolare le acque non sempre limpide della politica estera statunitense.
Con l’insediamento della nuova amministrazione Obama si chiude (almeno formalmente) la lunga fase d’incertezza che ha seguito la riconferma del presidente uscente nelle elezioni dello scorso novembre. Ciò, a maggior ragione, nel delicato settore della politica estera, che, negli ultimi mesi, ha assistito all’evidente “smarcamento” di Washington da tutte le principali vicende. Rimane invece aperta alla speculazione quella che sarà la postura internazionale di Washington nei quattro anni che si prospettano.
Inizia oggi il secondo mandato di Obama. La costituzione americana non gli permetterà, fra quattro anni, di ricandidarsi e libero da scadenze elettorali (salvo le elezioni di metà mandato) potrà cosi concentrarsi a definire i tratti dell’eredità storica che lascerà al termine dei suoi otto anni di presidenza.