Tre mesi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ci sono buone notizie e cattivi presagi per le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). Nel breve-medio periodo, le buone notizie riguardano il prezzo di petrolio e gas: con rendite più elevate, le monarchie possono scegliere di allungare i tempi della diversificazione economica mitigandone, ancor più, le ricadute sociali, a tutela così della stabilità politica interna.
La grave crisi internazionale mette alla prova le monarchie del Golfo. Cina, India, Russia: cambiano i quadri geopolitici e le dinamiche economico-finanziarie.
Il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi è giunto in visita in Italia come tappa di un tour europeo avviato nei giorni scorsi per rafforzare il livello della cooperazione tra Baghdad e i suoi principali alleati nel campo occidentale. Nel corso della sua visita a Roma, il capo del governo di Baghdad è stato accolto dal suo omologo italiano, il presidente del Consiglio Mario Draghi.
Un rapporto dell’Intelligence Usa accusa il principe saudita Mohammed Bin Salman di essere coinvolto nell’omicidio Khashoggi. Un altro segnale del cambio di rotta nelle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita
Mentre nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena) la diffusione della pandemia sembra rallentare, ma non accenna ancora ad arrestarsi, i governi della regione si preparano a una graduale riapertura, con allentamenti del lockdown in alcuni casi già a partire dalla fine di maggio.
Dopo essere sopravvissuti indenni agli sconvolgimenti delle Primavere arabe, alcuni tra i principali paesi del Medio Oriente potrebbero conoscere nei prossimi anni dei sommovimenti che rischiano di metterne in pericolo la stabilità. Non più rivoluzioni, interventi esterni o guerre civili: quello che potrebbe alterare il volto del Medio oriente negli anni a venire è il semplice ricambio generazionale.
Difficile accertare le responsabilità dell’attentato terroristico che sabato mattina ha colpito la parata militare nella città iraniana di Ahvaz, capoluogo della provincia del Khuzestan, uccidendo 25 persone e ferendone almeno 60.
Domenica 29 luglio 8,5 milioni di elettori del Mali sono stati chiamati a decidere se concedere un secondo mandato al presidente uscente Ibrahim Boubacar Keita, detto IBK.
L’entità del fenomeno radicalizzazione nel continente africano e l’elevato livello di rischio ad esso connesso è efficacemente rilevato dall’ultimo report dell’Africa Center for Strategic Studies (ACSS)[1], che a partire dal 2010 ha monitorato gli episodi violenti compiuti dai diversi gruppi militanti islamici attivi in Africa.
Un’aula di tribunale stracolma ha accolto, il 24 luglio scorso, il verdetto del processo più atteso dell’anno. Attivisti, ricercatori universitari e membri dell’opposizione politica, radunatisi sotto il sole cocente di Niamey, hanno reagito alla pronuncia con sollievo e rabbia al contempo. Quattro dei 22 imputati sono stati condannati a tre mesi di carcere e tre di loro sono stati rilasciati il giorno stesso. Si tratta di Ali Idrissa, Moussa Tchangari e Nouhou Arzika.
Nel corso degli ultimi anni, il Niger è rientrato nel novero dei partner strategici dell’Unione Europea e dei suoi stati membri. Lo stato saheliano, infatti, si è ritrovato all’incrocio dei vettori di tensione che smuovono le inquietudini securitarie del vecchio continente. Da una parte, il Niger si è trovato ad essere uno snodo cruciale delle traiettorie migratorie che connettono l’Africa Occidentale alla Libia, ed è quindi considerato – non sempre a buon diritto – l’anticamera della migrazione irregolare verso l’Europa.
Tutti gli occhi erano puntati su Hormuz.