Il 2015 ha rappresentato un anno denso di avvenimenti per il quadrante siro-iracheno. Dei diversi attori impegnati sul campo, il sedicente Stato Islamico (IS) è forse quello che ha registrato l’andamento più ondivago, alternando importanti successi (a Deir el-Zor, Palmira e nel centro-sud della Siria, oltre che a Ramadi in Iraq) a una serie di sconfitte (Kobane, Tal Abyad, Tikrit e a Sinjar) che hanno in una certa misura dissipato l’aura di invincibilità acquisita nel corso del 2014.
A fine ottobre, quando Aleppo era ancora una città spaccata in due, teatro di violenti combattimenti, non pochi dei civili rimasti ci avevano reso partecipi di un loro dilemma: «E dopo cosa accadrà?» Nei quartieri controllati dai ribelli, tutti sostenevano la rivolta armata contro il regime siriano. E, tutti, o quasi, erano convinti che la caduta del presidente Bashar al-Assad fosse solo una questione di tempo. Ma ignorare cosa stava accadendo nelle file dei miliziani era un atteggiamento ingenuo.