The MED This Week newsletter provides expert analysis and informed insights on the most significant developments in the MENA region, bringing together unique opinions on the topic and reliable foresight on future scenarios. Today, we focus on Syria, recently back in the spotlight following the sixth edition of the EU-promoted Brussels Conference and Assad’s recent visit to Tehran.
Il regime di Assad, tutte le notizie
Il regime di Assad è al potere da oltre vent'anni, metà dei quali a combattere una delle guerre più lunghe del Medio Oriente. La guerra in Siria ha infatti compiuto dieci anni nel 2021. Un anniversario che segna la tragicità di un paese che verte in condizioni umanitarie drammatiche. Le notizie che arrivano dalla Siria parlano del paese con il più alto numero tra sfollati interni e profughi, un'economia allo sfascio, una rete infrastrutturale da ricostruire, ma soprattutto un tessuto sociale interamente lacerato e che dopo le ultime elzioni che hanno riconfermato Assad rimane in uno stato di perenne precarietà.
The MED This Week newsletter provides expert analysis and informed insights on the most significant developments in the MENA region, bringing together unique opinions on the topic and reliable foresight on future scenarios. Today, we turn the spotlight on Syrian President Bashar Al-Assad's visit to the UAE, his first trip to an Arab country in over a decade.
Il destino politico di Bashar Al-Assad potrebbe risultare il paradosso più sorprendente della crisi siriana: avendo praticamente vinto la guerra potrebbe perdere la pace.
In Siria la guerra è infatti iniziata nel 2011 come sola guerra civile e quindi crisi interna del regime. Questo ha fatto del destino di Bashar al-Assad una discriminante per indicare se avesse vinto l‘opposizione o il regime.
Le Forze Democratiche Siriane (SDF) hanno raggiunto un accordo con il regime di Damasco per far fronte all’offensiva militare turca lanciata lo scorso 9 ottobre. Secondo l’accordo, l’esercito siriano sarà dispiegato nei territori curdi fino ad oggi controllati dalle SDF e lungo il confine con la Turchia. Il regime di Assad vuole preservare l’integrità territoriale e “liberare le zone occupate dall’esercito turco e dai mercenari”, termine con cui identifica i ribelli siriani che combattono al fianco della Turchia contro i curdi del Rojava.
After nearly eight years of conflict, Bashar al-Assad has effectively won the civil war and Syria is now entering a new phase. While large parts of the country remain out of government hands and violence will undoubtedly continue as Damascus looks to reassert full control, domestic and international focus is increasingly turning towards the post-conflict phase.
Quella siriana è la guerra degli assedi: da Aleppo a Homs, da Raqqa a Ghouta e ora Afrin. Afrin potrebbe diventare una tragica replica di Kobane ma in uno scenario bellico assai mutato rispetto al passato quando Assad appariva alle corde.
Se non fosse per tutti quei morti, tutta quella distruzione e tutti quei profughi, si potrebbe provare, non senza un po’ di fatica, a comprendere le ragioni di tutti quei paesi che in questi anni hanno contribuito ad alimentare e inasprire un conflitto civile diventato apparentemente senza soluzione.
Ci sono almeno due elementi fondamentali che emergono analizzando le caratteristiche dell’ultima tregua in Siria siglata da Stati Uniti e Russia: la totale assenza fra i firmatari sia delle parti in causa siriane sia dei loro alleati regionali, e l’imminenza delle elezioni americane, previste tra meno di un mese e mezzo.
Russia’s military intervention in Syria at the end of September 2015 undoubtedly strengthened and sustained the Bashar Al-Assad regime. For the first time since the height of the Cold War Russian military personnel were actively involved in the Middle East as a combatant force with significant political leverage to counterbalance the roles of Saudi Arabia and Turkey in the Syrian conflict and thus the wider Middle East.
Per i più ottimisti, quelli che pensavano che l’Iran deal avrebbe portato la soluzione per ogni male del Medio Oriente, la doccia fredda è arrivata subito. È arrivata in Siria, dove col rafforzamento dell’Iran, la disperazione del regime e le accentuate insicurezze saudite, le cose non si sono affatto risolte. Anzi, si sono complicate. La verità, semmai, è che l’Iran deal ha incrementato gli incentivi delle potenze regionali per continuare il conflitto.
Il 4 agosto scorso, mentre i ministri Gentiloni e Guidi capeggiavano la missione a Teheran, nel loro stesso hotel si incontravano il vice ministro russo Bogdanov, esperto del mondo arabo, e il ministro degli Esteri siriano Moallem. L’intenzione era di esaminare il piano iraniano di transizione per la Siria che prevede il mantenimento del regime, delle sue strutture militari e di intelligence ma anche una possibile uscita di scena di Bashar al-Assad e del suo clan.
La decisione russa di incrementare il proprio sostegno militare al regime di Bashar al-Assad, già nell’aria da parecchi giorni, merita alcune osservazioni.
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