È morto un mito. Non solo nei ranchitos venezuelani, i quartieri più miserabili. Hugo Chávez ha fatto proselitismo in tutta la regione, il suo carisma ha toccato il cuore di centinaia di milioni di latinoamericani.
A prima vista, sembra l’ennesimo paradosso colombiano, la nazione simbolo del realismo magico. Nelle regioni rurali – inespugnabili fortezze naturali di selva e montagne che nemmeno il pugno di ferro dell’ex presidente Álvaro Uribe è riuscito a far capitolare – la guerra tra l’esercito e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), la più longeva guerriglia latinoamericana, si fa ogni giorno più cruenta. L’ultima autobomba dei miliziani è esplosa il 25 febbraio scorso, uccidendo un civile.
Di lui dicono: ha la forza politica di Chávez, la “buona volontà” di Lula e l’irascibilità della Fernández; è giovane, di bell’aspetto e dotato di ottime capacità oratorie. Rafael Correa, il Caudillo di Quito, si riconferma alle elezioni del 17 febbraio 2013 uno dei líder più amati dal proprio popolo e uno degli attori di maggior successo nell’odierno panorama politico. Purtroppo però, come accade, il successo si alimenta di ambizioni e le ambizioni spesso a conducono a protagonismi eccessivi e brame di accentramento del potere su se stessi. Anche questo è Correa..