L’arcivescovo Pietro Parolin, dal 15 ottobre nuovo segretario di stato della Santa Sede, rappresenta a un tempo il ritorno della grande scuola diplomatica vaticana al vertice della Terza Loggia e una figura inedita, almeno rispetto alla storia degli ultimi cinquant’anni. Nulla sarà come prima, in quella che con la riforma di Francesco è destinata a cambiare nome e diventare “segreteria papale”.
Il verde e giallo sgargianti della bandiera brasiliana sfiorano il bianco-celeste del drappo argentino. Tra le migliaia e migliaia di immagini diffuse in questi giorni dai media internazionali, questo insolito abbraccio fra i simboli di due nazioni tradizionalmente rivali – immortalato da un fotografo sulla spiaggia carioca di Copacabana – può essere scelto come sintesi visiva del primo viaggio estero di Francesco, svoltosi in occasione della Giornata mondiale della gioventù (Gmg). Il Papa della prossimità, appunto.
Il rapporto di Benedetto XVI con le Chiese ortodosse si è posto in continuità con la linea seguita da Giovanni Paolo II, ma allo stesso tempo ha marcato delle differenze. Wojtyła era animato da una passione evidente nei confronti del mondo ortodosso, carica di valenze molteplici, intrise anche di motivi biografici, connessi alla storia e alla cultura della Polonia.
Con la sorprendente rinuncia al ministero petrino di Papa Benedetto XVI, dalle ore 20 del 28 febbraio 2013 avrà inizio il periodo della “Sede Apostolica Vacante”. Di lì, nel giro di una ventina di giorni, i cardinali elettori saranno chiamati a riunirsi in Conclave per eleggere, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, un nuovo Romano Pontefice.
In uno dei passaggi più belli dell’ultimo libro di Papa Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, è citata un’omelia di Bernardo di Chiaravalle sull’Annunciazione, quando l’angelo rivolge la sua domanda a Maria e il cielo e la terra «per così dire, trattengono il respiro»: un istante drammatico di sospensione cosmica, «Dio ha bisogno della libertà umana», in attesa della scelta, «sarà "sì"?», di quella giovane donna. Si dirà: ma che c’entra con la crisi che la Chiesa cattolica ha dovuto patire nel 2012, con le prospettive che la attendono nel 2013?