Una sconfitta molto più pesante di quanto anche i più scettici potessero aspettarsi, che ora mette a rischio non solo il processo costituente in Cile ma anche la tenuta del governo del presidente Gabriel Boric.
I cileni bocciano la nuova Costituzione. Duro colpo per Boric, ma la disfatta della Carta ‘più progressista del mondo’ non frena la richiesta di cambiamento.
Il 4 settembre 2022 i cileni torneranno alle urne per il referendum che dovrà approvare o rigettare la nuova Costituzione. Sono passati 33 anni dal plebiscito del 30 luglio del 1989 con cui il 91,25% dei votanti (quasi il 94% degli aventi diritto) approvò la riforma della Carta costituzionale del 1980, tuttora vigente, nove mesi dopo il trionfo del "no" (con il 55,99% dei voti) al referendum del 5 ottobre precedente sulla possibile prosecuzione del governo di Augusto Pinochet.
Il ballottaggio di domenica 19 dicembre ha portato il più giovane presidente mai eletto in Cile, Gabriel Boric, esponente della sinistra radicale del Frente Amplio, alla vittoria contro l’esponente di estrema destra, José Antonio Kast. Il suo programma mira a smantellare il modello economico ereditato dagli anni di Pinochet e combattere le disuguaglianze nel paese, dove le disparità sociali sono tra le più profonde al mondo. Di fronte a un paese polarizzato, quali sono le sfide a cui il neo eletto presidente va incontro? E quali saranno i riflessi del voto sul piano regionale?
56% contro 44%: è il risultato del ballottaggio delle presidenziali in Cile che ha portato alla vittoria il 35enne di estrema sinistra Gabriel Boric, contro lo sfidante di estrema destra José Antonio Kast. Così il prossimo marzo Sebastián Piñera consegnerà il paese a coloro che si sono mobilitati durante i suoi mandati presidenziali, ponendosi a capo di lunghe proteste di piazza.
Ogni volta che mi capita di venire in Cile, quando dall’aereo vedo sotto di me la cordigliera, un grande muro accanto alla città di Santiago, che cinge come una invalicabile muraglia questo paese, penso che questo è un paese speciale. Speciale per tante ragioni.
Perché è un’altra America Latina dominata da un senso di lontananza che la connota.
Domenica al secondo turno delle elezioni presidenziali si sfidano due visioni opposte del paese, della sua storia e del suo futuro.
La campagna per l’elezione più incerta per il Cile negli ultimi vent’anni si è disputata fin all’ultimo tirando in ballo la storia, dalla dittatura alla democrazia.
Per la prima volta dalla fine del regime militare a contendersi il Palazzo della Moneda sono due candidati non moderati; a destra l’ultraconservatore José Antonio Kast, 55 anni, a sinistra il trentacinquenne Gabriel Boric, già leader del movimento studentesco a capo di una coalizione nata dalle proteste di piazza e con l’appoggio decisivo del partito comunista.
Nessuno può sapere come andrà a finire ma tutti sentono che nulla, in Cile, sarà come prima. Alla vigilia delle elezioni generali, si vota per il presidente e il rinnovo del parlamento, l’incertezza è profonda e non poteva essere altrimenti visto l’accelerazione dei processi sociali scaturiti dalla grande protesta di massa del 2019.
Una nuova leadership di sinistra si affaccia in Sudamerica con differenze sostanziali tra paese e paese a dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che si tratta di un continente in profonda trasformazione e alle prese con una stagione di forti cambiamenti sociali e politici. Un outsider della sinistra radicale e rurale diventa presidente del Perù, un ex leader studentesco cileno si afferma nelle primarie della sinistra in vista delle presidenziali di novembre.
Proteste a Cuba, barricate e tafferugli che continuano a Bogotà, le speranze e i timori del Cile che deve votare e scrivere la nuova Costituzione, la spaccatura sociale mai così forte in Argentina. L’autunno caldo dell’America Latina è appena iniziato, con conflitti e tensioni che attraversano diversi paesi, facendo prevedere una stagione di instabilità quando non è ancora finita l’emergenza sanitaria.
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