Malgrado la crisi politica, il Paese accelera la sua scalata come protagonista della transizione energetica in America Latina. Con importanti investimenti stranieri.
Proteste a Cuba, barricate e tafferugli che continuano a Bogotà, le speranze e i timori del Cile che deve votare e scrivere la nuova Costituzione, la spaccatura sociale mai così forte in Argentina. L’autunno caldo dell’America Latina è appena iniziato, con conflitti e tensioni che attraversano diversi paesi, facendo prevedere una stagione di instabilità quando non è ancora finita l’emergenza sanitaria.
A un mese dall’inizio delle manifestazioni, la protesta in Colombia si trasforma in rivolta contro il governo e le disuguaglianze.
Le accese proteste per il progetto di riforma fiscale e la repressione da parte delle forze dell'ordine che ne è conseguita hanno portato la Colombia al centro dell’attenzione internazionale. Un’attenzione dovuta non solo al caos delle piazze colombiane, ma anche all’importanza di Bogotà nella regione.
Una riforma fiscale concepita e annunciata nel peggior momento possibile, un governo ai minimi storici di popolarità, i giovani compatti in piazza a protestare, la violenta repressione delle forze dell’ordine, con decine di morti e persone scomparse. La Colombia è sprofondata nel caos e la situazione appare completamente fuori dal controllo dell’esecutivo guidato da Ivan Duque, che si trova ad affrontare una crisi sociale senza precedenti proprio nella retta finale del suo mandato.
La Colombia è stata l’unica tra le sei maggiori economie dell’America Latina a chiudere il 2019 con una crescita del Pil superiore al 3%[1]. Si tratta di un risultato significativo all’interno di una congiuntura in rallentamento, non solo per i più grandi Paesi dell’area (Fig. 1), ma anche per i principali partner commerciali, Stati Uniti e Cina.
Figura 1. Tassi di crescita del Pil (%)
Il 27 maggio si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali in Colombia.
Il premio Nobel per la Pace 2016 è stato assegnato oggi a Juan Manuel Santos Calderón, Presidente della Colombia. Questo rappresenta un riconoscimento del duro lavoro fatto nel processo di pace con le FARC. Nell’epoca dei referendum popolari, capaci di dettare linee politiche anche contrarie rispetto alle posizione dei governi che vi ricorrono, i giurati del Nobel stupiscono prendendo una chiara posizione contro il risultato del referendum che si è tenuto il 2 ottobre in Colombia e che non ha approvato i termini dell’accordo.
Abstract
Illicit drug trade is an integral part of the recent history in Afghanistan and Colombia. The past few decades have seen narcotics have severe social, political and economic impact in both countries. This paper outlines the development of the narcotics industries in each country and synthesizes the commonalities that have arisen from this shared phenomenon. It seeks to highlight lessons that Afghanistan and Colombia can learn from each other and concludes with recommendations on a way forward from the current impasse.
Con meno fervore e una buona dose di incertezza, il governo della Colombia ha firmato un nuovo accordo di pace con il principale gruppo guerrigliero del Paese, le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Si tratta del secondo trattato siglato in meno di due mesi.
Per ottenere una firma frettolosa il presidente Santos ha ceduto troppo. E la popolazione colombiana non ha perdonato.
La paura ha vinto. La “pace d’inchiostro”, firmata solennemente dalle parti a Cartagena il 26 settembre, è stata rifiutata dalle urne. Il 51,3% dei colombiani ha respinto l’accordo raggiunto all’Avana tra il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Un risultato del tutto imprevisto che rimette in discussione tre anni e nove mesi di negoziati giunti, con sforzi inediti, a buon fine.
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