Oggi si è aperto a Pechino, nella maestosa cornice della Grande Sala del Popolo, il 20° Congresso del Partito comunista cinese (Pcc, Zhongguo Gongchandang), l’appuntamento politico nazionale più importante dell’anno, equivalente grossomodo alle riunioni del conclave tenute in Vaticano per la scelta del nuovo Pontefice.
Xi Jinping è davvero il nuovo Mao? Quanto è fondata la convinzione che abbia il pieno controllo sul partito? Le sue teorie politiche verranno codificate nello Statuto del partito? E si comincerà già a parlare del suo successore? Sono questi gli interrogativi che aprono il Diciannovesimo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) che prende avvio il 18 ottobre.
Sebbene molto più importante del precedente per capire il corso futuro delle riforme politiche in Cina, il congresso del PCC sarà invece meno determinante per capire dove andranno le riforme economiche, perché l’impronta che il Presidente Xi ha dato alla modernizzazione del sistema economico è già ben chiara, se non dal 2012, di certo dal 2014.
Ieri Donald Trump ha tenuto il suo primo discorso al Congresso, per l’occasione riunito in seduta comune. È un'istituzione del cui appoggio il nuovo presidente degli Stati Uniti avrà sempre più bisogno, passato il primo mese dall’insediamento durante il quale ha fatto ampio uso di ordini esecutivi.
Il 2017 sarà un anno determinante per capire l’evoluzione del paese più popoloso al mondo. Politica interna, economia e politica estera sono tutte condizionate da una instabilità dovuta a fattori interni ed esterni, prima fra tutti l’elezione di Trump, che potrebbero indirizzare il corso dell’amministrazione di Xi Jinping per il prossimo quinquennio. A questo riguardo, l’evento senza dubbio più importante del 2017 sarà il 19mo Congresso del Partito Comunista cinese che si terrà a Pechino tra ottobre e novembre.
L’accordo raggiunto a Vienna sulla delicata questione del nucleare iraniano apre, per gli Stati Uniti, scenari complessi e dalle implicazioni ramificate. Il semplice fatto che, pur con tutte le difficoltà che hanno punteggiato il negoziato, si sia giunti a questo risultato rappresenta una tappa importante per due interlocutori che dalla rivoluzione del 1979 avevano improntato le proprie relazioni su un’ostilità dichiarata, mai realmente scalfita dalle rade e diffidenti aperture registrate.
Il primo ministro giapponese Shinzo Abe sta portando il suo paese a svolgere un nuovo ruolo nel mondo. Lo ha certificato, dopo l’incontro avuto alla Casa Bianca, il presidente Barack Obama.
Con le dimissioni del segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e la nomina, al suo posto, di Ashton Carter (che, tuttavia, deve ancora superare lo scoglio dell’esame congressuale), si chiude quello che, per l’amministrazione Obama, è stato l’ennesimo anno difficile.
Diceva bene Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group, qualche giorno fa, a proposito della scelta di Obama di smettere di fumare, che ha trovato ampio spazio sui rotocalchi americani: «Looks like Obama picked the wrong presidency to give up smoking».
Con ogni probabilità, nemmeno il 2013 sarà, per Barack Obama, l’anno dell’auspicato “change”. Piuttosto, il braccio di ferro con il Congresso a maggioranza repubblicana intorno al tema del tetto del dedito federale – che dal primo ottobre ha portato allo “shutdown” di una lunga lista di servizi e alla messa in aspettativa di quasi un milione di dipendenti pubblici – sembra rappresentare l’ennesimo momento di difficoltà di un presidente fino a oggi incapace di soddisfare le attese (forse eccessive) sollevate all’epoca della sua elezione.
L'incontro è stato organizzato nell'ambito degli approfondimenti "Focus Siria" dell'ISPI.
L'evento si è tenuto presso la sede dell'ISPI (Palazzo Clerici - Via Clerici 5 - Milano).
Il panel da sinistra: Alessandro Colombo, Ugo Tramballi, Aldo Ferrari.
Le campagne elettorali in democrazia sono solite offrire poca sostanza e molta immagine. Quella recente americana non è stata un’eccezione. Le rivendicazioni keynesiane di Barack Obama e le promesse reaganiane di Mitt Romney non hanno infatti lasciato spazio al dibattito su come affrontare in modo concreto il cosiddetto “precipizio fiscale”, ovvero la principale questione economica nell’immediato futuro degli Stati Uniti e che, a conti fatti, ha rappresentato il convitato di pietra per tutta la campagna.