Il “popolo” cubano ha approvato la nuova Costituzione: nel plebiscito di domenica scorsa, ha votato oltre l’80% degli aventi diritto ed oltre l’80% ha detto sì. Buffo: ovunque nel mondo sarebbe un trionfo; ma non a Cuba, il regno che Fidel Castro volle unanime: “Siamo un solo popolo, diceva, pensiamo tutti uguale, ci unisce la stessa fede, siamo una sola persona, tutti insieme formiamo un fascio”. A Cuba, il No non è previsto, ammesso, contemplato; chi nega tradisce, chi dissente bestemmia in chiesa! In passato era quasi assente.
Dalla serie di appuntamenti elettorali che hanno interessato l’Africa subsahariana negli ultimi mesi (vai al Dossier ISPI) emerge una fotografia incerta, in cui la democratizzazione avanza in alcuni paesi della regione ma frena in altri. Avere elezioni libere e competitive è un requisito indispensabile per un regime democratico, ma non sufficiente.
Il 3 settembre 2013 il presidente armeno Serj Sargsyan coglieva l’Unione Europea e l’opinione pubblica armena impreparati informando in conferenza stampa congiunta con il presidente russo Vladimir Putin che l’Armenia, allora in procinto di firmare l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea a Vilnius, avrebbe aderito all’Unione Euroasiatica, progetto incompatibile con la prima. Il 4 settembre il presidente lanciava un'altrettanto rivoluzionaria iniziativa: una riforma costituzionale.
Presentare gli eventi in Ucraina di questi giorni come la rinascita della Rivoluzione Arancione, e quindi come il ritorno della democrazia, è fuorviante.
Se la priorità per Washington è oggi bloccare l’escalation di provocazioni tra Cina e Giappone per evitare che la tensione in Estremo Oriente rischi di divenire ingovernabile e che la strategia del Pivot to Asia si trasformi in un boomerang per il presidente Barack Obama, la visita che nello scorso fine settimana il ministro degli Esteri giapponese, Kishida Fumio, ha effettuato negli Stati Uniti non ha fornito alla Casa Bianca molti motivi di soddisfazione.
Tornato alle urne per la sesta volta in tre anni, l’Egitto avrà tra pochi giorni una nuova Costituzione che sostituisce quella a forte impronta islamista approvata poco più di un anno fa dal deposto nonché legittimamente eletto presidente Mohammed Morsi. Ma più che sui 247 articoli messi a punto a dicembre da una Commissione di 50 membri, il referendum chiedeva l’approvazione del paese sull’operato del ministro della Difesa al-Sisi, architetto del golpe popolare dell’estate scorsa e della successiva messa al bando dei Fratelli musulmani.
L’ombra di un ennesimo uomo del destino rischia di invadere il nuovo anno mediorientale e inquinare le speranze delle sue Primavere. Abdel al-Fattah al-Sisi ha il profilo ideale del rais perfetto. Possiede l’età: per le tradizioni della regione 59 anni sono solo la giovinezza della maturità. Ha esperienza nei servizi segreti militari: elemento essenziale del cursus honorum del sistema di potere tradizionale nei paesi arabi. È un pio musulmano: una delle sue figlie porta la versione più castigata dell’hijiab. Ha consenso popolare.
Il cartello dice; “la Costituzione di tutti gli egiziani”. Peccato che tre delle cinque persone presenti nel grande cartello di lancio della campagna per il “sì” al referendum costituzionale del prossimo gennaio non siano affatto egiziane.
Più poteri ai militari e una norma che impedisce ai partiti religiosi di presentarsi alle elezioni. La nuova Costituzione egiziana cerca di trovare un equilibrio tra i diversi poteri dello stato, attribuendo un ruolo istituzionale all’esercito e stabilendo la definitiva esclusione dei Fratelli musulmani dalla vita politica.
Il fallimento dell’esperienza politica di Morsi affonda le proprie radici in una serie di fattori, difficilmente sottoponibili a qualche forma di gerarchia.
L’islamizzazione è fenomeno che attiene più alla sfera sociale di parte del paese che alla legislazione vera e propria (l’art 2. della Costituzione egiziana, che indica la sharia come fonte principale del diritto, è esattamente identico a quella della Costituzione mubarakiana).
Tra il 15 e il 16 dicembre, gli egiziani voteranno la nuova Costituzione. Gli articoli sono stati approvati in pochi giorni da un’assemblea composta quasi esclusivamente da intellettuali e parlamentari islamisti, dopo il ritiro di diversi laici e liberali. Se approvata, la nuova Carta fondamentale egiziana sostituirà la Costituzione precedente, scritta nel 1971, ma modificata diverse volte negli anni successivi.
Dopo il recente decreto che ha posto le decisioni del presidente al di sopra di ogni esame giudiziario e la nuova Costituzione approvata dalla Assemblea Costituente che prevede la sharia come fonte giuridica principale, il presidente egiziano Morsi è nella bufera. Riserve sull’atteggiamento assunto dal presidente vengono sollevate dai manifestanti negli scontri in piazza e dai suoi consiglieri personali che rimettono in massa l’incarico.