Dopo l'epoca dell'assertività in Yemen, EXPO Dubai 2020 rappresenta l'occasione per relazioni esterne più distese da parte emiratina. Sicurezza, ma anche investimenti.
Quali paesi dell'area MENA hanno normalizzato i rapporti con Isarele?
La El Al, la compagnia di bandiera, ha deciso di aprire un volo giornaliero Tel Aviv-Dubai. Già si segnalano turisti israeliani andati a visitare il Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. Affollate delegazioni di piccoli e grandi imprenditori arabo-israeliani visitano gli Emirati a caccia di buoni affari.
Il 2020 ha rappresentato un anno importante per il Medio Oriente e in particolare per le evoluzioni nel processo di pace israelo-palestinese.
Gli Emirati Arabi Uniti (Eau) formano un nuovo governo federale per reagire agli effetti economico-sociali della pandemia da Covid-19, in attesa dell’Expo di Dubai riprogrammato per il 2021. La digitalizzazione di lavoro e servizi, nonché la razionalizzazione della struttura pubblica, sono di certo i cardini del nuovo esecutivo, chiamato a offrire risposte rapide ed efficaci alle domande inedite della realtà post-coronavirus.
One of the key developments in the Middle East in the last few decades has been the growing alliance between Egypt and some of the Gulf Cooperation Council states (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar Saudi Arabia and the United Arab Emirates/UAE). For most of the 1950s and 1960s Egypt, under President Gamal Abd al-Nasser, viewed the Gulf’s ruling families as reactionary and medieval regimes whose days were numbered. Meanwhile, the Gulf leaders felt threatened by Nasser’s vision of Arab nationalism and socialism.
Seppur inatteso, ma non del tutto imprevedibile per le dinamiche sempre fluide della politica regionale, l’accordo di normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele ed Emirati Arabi Uniti (EAU) rischia di aprire nuovi scenari nell’area MENA, già alle prese con molteplici linee di faglia.
Il 26 marzo prossimo, lo Yemen entrerà nel quarto anno di guerra: i morti hanno superato i 10 mila, mentre 22 milioni di yemeniti (su un totale di 27 milioni), necessitano di assistenza umanitaria. A dispetto delle tante bombe sganciate, l’Arabia Saudita è oggi meno influente in Yemen di quanto lo fosse prima dell’intervento militare iniziato nel 2015.
Per capire la portata quantomeno simbolica del riavvicinamento tra il Cairo e Mosca basta notare l'irritazione di Washington che attraverso il Dipartimento di Stato replica piccata all'endorsement di Putin alla candidatura del ministro della Difesa al Sisi alla poltrona che fu di Mubarak: «Noi non sosteniamo nessuno e non credo che, molto francamente, spetti agli Stati Uniti o al signor Putin decidere chi debba governare l'Egitto» fa sapere la portavoce Marie Harf.