With parliamentary elections scheduled for this Sunday, Tunisia – a small country unused to extensive English-language media coverage – is receiving a rare burst of press. This week's stories on the country have tended to reiterate two dominant narratives: (1) Tunisia is a country riven by a core ideological conflict between secularists and Islamists, and (2) disproportionate numbers of young men have left Tunisia to fight for ISIS in Syria and Iraq, making Salafi jihadism a central focus of coverage on the country.
The Ennahda’s electoral meeting in Douar Hichar on October 12 2014 in the suburbs of Tunis opened with a prayer swiftly followed by the audience singing the national anthem.
Era il 1999 quando Khiari e Lamloum coniavano l’espressione elections en trompe-l’œil per descrivere la realtà del processo elettorale tunisino. Una realtà in cui l’appuntamento elettorale aveva il duplice scopo di strappare legittimità democratica agli occhi delle grandi potenze occidentali (ancor più ricercata dopo l’11 settembre) e tessere un risultato plebiscitario per confermare la tenuta del regime.
Nella Tunisia che si prepara alle elezioni le sfide economiche sono sempre quelle drammaticamente messe in luce dal disperato gesto di Mohammed Bouazizi il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid: la mancanza di prospettive lavorative per buona parte della propria popolazione e le forti disparità regionali tra le zone costiere e quelle centro-occidentali, storicamente depresse e marginalizzate.
A tre anni dalla caduta di Ben Ali, lo scorso gennaio la Tunisia ha approvato la nuova Costituzione. Questa si distingue sia perché frutto di lunghi negoziati e di uno storico compromesso tra le forze secolari e il partito islamico Ennahda, sia perché, tra gli altri aspetti, garantisce uguali diritti alla donna e all'uomo ed evita qualsiasi riferimento alla shari'a. Attraverso di essa, dunque, la Tunisia si pone come punto di riferimento per l'Europa e l'Italia nel delineare delle policies in grado di sostenere la democratizzazione in Nord Africa e in Medio Oriente.
Nell’intricato reticolo di relazioni bilaterali e regionali che coinvolgono i paesi del Medio Oriente e del Maghreb e nelle diatribe incrociate tra Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Fratellanza musulmana e altri attori, la Tunisia sta lentamente cercando di diversificare le direttrici della propria politica estera.
Dopo la dimissioni di Hemadi Jebali, la Tunisia ha conosciuto dal 22 febbraio il suo nuovo primo ministro, Ali Larayedh, nominato ufficialmente dal presidente Marzouki.
Classe 1955, Larayedh è uno dei principali leader e fondatori del partito islamista Ennahda, di cui è stato segretario generale fino al suo arresto nel dicembre 1990, a cui seguì una condanna definitiva a 15 anni di carcere, di cui 10 scontati in isolamento.