Nella ricerca del responsabile del caos catalano, puntualmente molti commentatori e una buona parte dell’opinione pubblica hanno indicato il solito ignoto: l’Europa. Cioè la Ue.
È stato un anno vissuto davvero pericolosamente il 2015 per la Francia. Dall’attentato a Charlie Hebdo (gennaio) alle stragi di Parigi (novembre), fino alle elezioni regionali di dicembre, il paese è stato impegnato contemporaneamente su diversi fronti (la sicurezza interna, l'impegno militare, la crisi politica, economica e sociale). Uno sforzo immane, che avrebbe richiesto compattezza politica, rinnovate energie e visione strategica.
Poco meno di un anno fa, all'interno del mio contributo al Rapporto Ispi 2014, scrivevo della prevedibile ascesa nell’Unione Europea dei partiti nazional-populisti, confermata poi dalle elezioni di maggio, con la rilevante eccezione dell’Olanda, dell’Austria e, in parte, dell’Italia. Partiti euroscettici come l’Ukip britannico e il Front National francese sono risultati primi per consensi nei rispettivi paesi.
L'attenzione della stampa e della opinione pubblica internazionali per il referendum scozzese conferma l'importanza della consultazione di oggi non solo per il futuro della Scozia e del Regno Unito, ma anche dell'Europa, della comunità euro-atlantica e dell'assetto geopolitico globale.
Diversi fenomeni potrebbero far precipitare nuovamente il mondo in una crisi finanziaria per certi versi simile a quella del 2007-2008. Si tratta di eventi distinti, ciascuno dei quali è pericoloso in sé, ma che possono in qualche modo influenzarsi tra loro attraverso forme di contagio destabilizzanti. Il fenomeno su cui gli analisti si soffermano da più tempo sono le incertezze attorno all’operazione di rialzo dei tassi di interesse annunciata dagli Stati Uniti, giustificata dalla divergenza, in positivo, della loro congiuntura economica rispetto a quella negativa o non brillante di Europa, Giappone, Cina e di numerosi altri paesi emergenti. I mercati potrebbero non accettare con calma e lucidità la fine del periodo di espansione monetaria statunitense, le borse potrebbero risentirne violentemente, la liquidità e la solvibilità di numerosi intermediari, anche fuori dagli Stati Uniti, potrebbero peggiorare gravemente. Di fronte a questo rischio la FED ha dichiarato l’intenzione di usare “pazienza” nel correggere la sua politica monetaria e continua a rimandare il primo rialzo dei tassi, che tuttavia la Presidente Janet Yellen prevede avverrà “entro la fine del 2015”.
Le ultime notizie sul fronte della crisi della zona euro sono tutte positive, apparentemente. L’Irlanda e il Portogallo non hanno più bisogno del sostegno finanziario internazionale; la Grecia, dopo anni di enormi difficoltà, è tornata a finanziarsi sul mercato. Paesi dal debito pubblico elevato, come il Belgio, hanno emesso nei giorni scorsi obbligazioni decennali a un tasso dell’1,91%, un record storico per il piccolo regno del Nord Europa, a dispetto del nervosismo degli ultimi giorni sui mercati finanziari.
Si fa presto a dire populismo e a confondere il termine con la variegata offerta elettorale di movimenti e partiti che hanno fatto dell'antieuropeismo una bandiera. C'è di tutto, e a volte il contrario di tutto, in una galassia che mescola ed esprime xenofobia e nazionalismo, insicurezza e razzismo, ansie economiche e rivolte fiscali, localismo e antipolitica. Ma ci sono anche una voglia e un bisogno di un'Europa diversa, sia pure manifestati in modo confuso e a volte persino inconsapevole.
Non è sbagliato guardare con timore al risultato che euroscettici di varia natura otterranno alle elezioni del 25 maggio, ma è insufficiente. E potrebbe diventare suicida se il segnale lanciato dalle urne non fosse raccolto dai governi e dalle istituzioni della UE per dare nuovo slancio a una volontà di cambiamento non più rinviabile.
Partiamo dal presupposto che probabilmente non ci saranno grandi sommovimenti. L’ultima proiezione di Pollwatch2014 assegna 217 seggi ai popolari e 201 ai socialisti, numeri più che sufficienti per continuare la "grande coalizione" che ha avuto sempre un ruolo importante nel Parlamento per raggiungere i 376 voti necessari, ad esempio, per modificare le proposte di legge, adottare il quadro finanziario o eleggere il presidente della Commissione.
La netta vittoria di Orbán alle elezioni ungheresi di domenica 6 aprile induce ad almeno quattro riflessioni.
La globalizzazione contemporanea ha creato una crescente asimmetria tra il potere economico-finanziario che opera a livello globale e il potere politico che agisce ancora prevalentemente su scala nazionale. Ciò comporta un’erosione di sovranità che limita le opzioni di politica economica e sociale e i poteri di regolazione dei governanti nazionali e la loro capacità di realizzare i programmi e render conto dei risultati a cittadini elettori che si sentono sempre più impotenti e irrilevanti.
I paesi scandinavi sono noti per presenza di forti atteggiamenti euro-scettici a livello di opinione pubblica. La Norvegia ha respinto, attraverso due referendum (1974 e 1994), la possibilità di aderire all'Unione Europea. Ricorrendo al medesimo metodo decisionale, Danimarca (2000) e Svezia (2003) hanno optato per non aderire alla moneta unica, pur essendo membri dell'Unione Europea.