Come altre economie della regione, la Tunisia continua a muoversi su due sentieri che solo raramente si incontrano e quasi mai comunicano. Da una parte il governo guidato da Youssef Chahed cerca di consolidare i conti pubblici e stabilizzare i dati macroeconomici, programma sostenuto da diverse organizzazioni internazionali quali l’Unione europea, la Banca mondiale, la Banca africana di sviluppo e il Fondo monetario internazionale (FMI).
La modernizzazione e l’apertura dell’economia cinese si stanno scontrando con due avversità. Da un lato la scarsa modernizzazione politica, dall’altro l’instabilità dell’economia e della finanza globali.
La politica estera dell’amministrazione Obama ha avuto fin dal 2009 una chiara costante: il re-engagement verso la regione dell’Asia-Pacifico.
Ha fatto bene l’Italia ad aderire prontamente alla nuova banca regionale asiatica, la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) promossa dalla Cina e, in qualche misura, concorrente della Banca Mondiale e della Asian Development Bank (ADB) che sono supportate dagli Usa. Nell’UE l’Italia è in buona compagnia, avendo aderito anche la Germania e, addirittura, il Regno Unito, un alleato di ferro degli Usa.
Non un’epidemia come le altre. Non un continente come gli altri. I picchi raggiunti in Liberia, Sierra Leone e Guinea dall’infezione virale nota come Ebola (dal nome di un fiume del Congo-Zaire dove fu segnalata per la prima volta nel 1976) hanno suscitato allarme, come giusto, ma anche misure che ripropongono l’immagine dell’Africa come un “altrove” da cui ci si aspetta soprattutto mali e pericoli per il resto del mondo. A tutt’oggi sono sei i ceppi individuati, cinque dei quali in varie parti dell’Africa.
Nell’intricato reticolo di relazioni bilaterali e regionali che coinvolgono i paesi del Medio Oriente e del Maghreb e nelle diatribe incrociate tra Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Fratellanza musulmana e altri attori, la Tunisia sta lentamente cercando di diversificare le direttrici della propria politica estera.
Nel gennaio scorso, Shinzo Abe, primo ministro giapponese, durante una visita in Costa d’Avorio, Etiopia e Mozambico, ha fortemente criticato la politica cinese in Africa per le sue componenti invasive e di sfruttamento delle risorse estrattive, sottolineando invece come la politica di Tokyo tenga in alta considerazione lo sviluppo del capitale umano.
Dal 4 febbraio si susseguono con regolarità in Venezuela manifestazioni popolari contro il presidente Nicolás Maduro, accusato di malgoverno e di aver condotto il paese in una profonda recessione economica. Il bilancio ufficiale degli scontri avvenuti nelle principali città della nazione e diffuso dal procuratore generale venezuelano, Luisa Ortega Diaz, recita 15 morti, 261 feriti e ben 700 arresti.
All'inizio del suo mandato il presidente Maduro ha trovato una situazione economica difficile caratterizzata da bassa crescita ed elevata inflazione. Dopo un anno la situazione è molto più grave: il paese è probabilmente entrato in recessione e negli ultimi dodici mesi i prezzi sono cresciuti del 60% circa.
La proposta di Zbigniew Brzezinski, esposta dall'ex consigliere di Jimmy Carter per la Sicurezza nazionale sul Financial Times, è accattivante: «se l'Europa - auspicabilmente insieme alla Russia - ha il dovere di aiutare l'Ucraina a non precipitare in un caos finanziario, allo sforzo sarebbe opportuno che partecipassero anche (o soprattutto!) i grandi oligarchi nazionali, magari con un'offerta di un miliardo di dollari a testa.
Sono enormemente generosi. E sono tossici. Così Moises Naim qualificava anni fa la "rivoluzione silenziosa" degli emergenti attori della cooperazione internazionale allo sviluppo, fra i quali l`Arabia Saudita, oltre alla Cina, all’India e ad altri paesi. Voleva porre in rilievo che questi nuovi venuti si ponevano in concorrenza con l’establishment della cooperazione internazionale: il sistema Ocse-Dac, la famiglia dell’Onu e delle Istituzioni finanziarie (World Bank, Ida, Ibrd, ecc.).
Il punto di non ritorno è forse già arrivato. Lo shutdown statunitense sarà terminato con buona probabilità entro pochi giorni e lo spettro del default tecnico per via del debt ceiling non si materializzerà mai sotto l’amministrazione di Barack Obama. Quello che è significativo è però un altro aspetto. Il braccio di ferro fra Democratici e Repubblicani sta diventando l’emblema dell’italianizzazione della politica statunitense, facendo perdere di credibilità gli Usa.