Sono passati cinque anni da quando le prime pagine dei giornali di tutto il mondo moltiplicavano i volti dei ragazzi egiziani, tunisini, libici e in misura diversa e minore yemeniti, bahraini e siriani con le bandiere dei rispettivi paesi pitturate sulle facce radiose. Si ragionava di primavere arabe, risveglio mediorientale, rivoluzioni, i cronisti rilanciavano le parole d’ordine di una lingua fino a quel momento nota solo per le invocazioni coraniche, Ash-sha’b yurid isqat an-nizam, il popolo vuole la caduta del regime.
Nel giugno 2014 il numero di foreign fighters, intesi come giovani combattenti stranieri convertiti all’islam radicale e partiti da varie realtà internazionali per combattere nei teatri iracheno e siriano al fianco di organizzazioni jihadiste come Jabhat al-Nusra e Daesh, era stimato a circa 12.000 unità provenienti da 81 diversi paesi. Nel 2015 il numero è più che raddoppiato, raggiungendo circa i 30.000 combattenti provenienti da almeno 86 nazioni.
Egypt has reappeared again as a leading actor in the Middle East. After the fall of Mubarak, the rise to power of the Muslim Brotherhood and its ouster, the country has chosen its new ‘strongman’. Following the elections of al-Sisi, Egypt is back to pursuing a pro-active policy not only internally, but also in the neighbourhood.
The restoration of the strategic axis with Saudi Arabia and the struggle against radical Islam are the two pillars of this new political phase.
However, there are critical elements, too, from further deterioration of the political and civil liberties indexes, to the emergence of jihadist groups in the Sinai, to the enduring economic and financial difficulties. As a result of these changes, Europe and Italy should calibrate a new policy aimed at safeguarding their interests,especially from the points of view of security, stability and the fight against terrorism, also promoting more inclusive practices by the Cairo government vis-à-vis the opposition (including the Muslim Brotherhood) and developing policies which can help Egypt to respond to future challenges in terms of economic growth, poverty alleviation, demographic pressure and the creation of employment opportunities.
A quasi tre anni dalla caduta del regime di Gheddafi e dalla sua uccisione, la Libia si appresta a vivere uno degli appuntamenti più importanti della propria storia recente, con le elezioni politiche del 25 giugno.
A tre anni dalle cosiddette Primavere arabe, la situazione in Nord Africa e Medio Oriente, per quanto riguarda le donne, appare articolata, Lucia Sorbera dell’Università di Sydney analizza il ruolo che in questi paesi hanno avuto le proteste femmili, quali i risultati ottenuti e quali ancora le sfide che dovranno affrontare.
Per capire la portata quantomeno simbolica del riavvicinamento tra il Cairo e Mosca basta notare l'irritazione di Washington che attraverso il Dipartimento di Stato replica piccata all'endorsement di Putin alla candidatura del ministro della Difesa al Sisi alla poltrona che fu di Mubarak: «Noi non sosteniamo nessuno e non credo che, molto francamente, spetti agli Stati Uniti o al signor Putin decidere chi debba governare l'Egitto» fa sapere la portavoce Marie Harf.
A pochi giorni dalla sua approvazione, la nuova costituzione egiziana viene accolta dagli oppositori del generale al-Sisi da una serie di attentati: al Cairo questa mattina sono esplose quattro bombe, una delle quali ha deflagrato diversi piani del palazzo dove risiede il quartier generale delle forze di sicurezza.
Tornato alle urne per la sesta volta in tre anni, l’Egitto avrà tra pochi giorni una nuova Costituzione che sostituisce quella a forte impronta islamista approvata poco più di un anno fa dal deposto nonché legittimamente eletto presidente Mohammed Morsi. Ma più che sui 247 articoli messi a punto a dicembre da una Commissione di 50 membri, il referendum chiedeva l’approvazione del paese sull’operato del ministro della Difesa al-Sisi, architetto del golpe popolare dell’estate scorsa e della successiva messa al bando dei Fratelli musulmani.
Soltanto pochi anni fa, le tesi circa il declino dell’Islam politico andavano per la maggiore. Si sosteneva che, nei nuovi contesti dei paesi musulmani, le forze islamiste avessero perso la loro battaglia e fossero destinate a scomparire. Si trattava della tesi del cosiddetto “post-islamismo”.
L’allontanamento dal potere di Hosni Mubarak nel febbraio 2011, e la conseguente elezione di Mohammed Morsi nel giugno 2013, sembravano aver aperto la via all’affermazione politica dei Fratelli musulmani, il più antico movimento islamista egiziano. La parabola politica della Fratellanza sembra però essere entrata in una fase discendente, soprattutto dopo la violenta repressione inaugurata dall’esercito egiziano nel luglio 2013.
Il seminario ha indagato queste questioni e ha cercato di esplorare i possibili scenari per il futuro del movimento.
Mentre crescono i venti di guerra intorno alla Siria, la politica di Washington in Medio Oriente potrebbe rivelarsi un inaspettato, improvviso e improbabile successo, con un cambiamento di prospettive radicale fino a poco tempo fa. Barack Obama è stato criticato in maniera durissima per la sua politica verso i paesi arabi e l’Iran. L’Occidente aveva assistito alla deriva turca ed egiziana verso l’Islamismo autoritario, agli sviluppi della bomba iraniana, ai litigi del
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