“Peace to Prosperity”. È questa la dicitura ufficiale adottata dal presidente Donald Trump sul cosiddetto “accordo del secolo”, ossia la proposta di pace statunitense per il Medio Oriente. Il piano è stato presentato il 28 gennaio alla Casa Bianca alla presenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu e degli ambasciatori di Oman, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti.
Nel suo 'Accordo del secolo' il presidente americano propone il congelamento delle colonie israeliane per quattro anni. E il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.
Lunedì 27 gennaio il cosiddetto Stato Islamico (IS) ha distribuito sui social media un nuovo messaggio: una registrazione audio in arabo attribuita al nuovo portavoce ufficiale dell’organizzazione, Abu Hamza al-Qurayshi.
In occasione del 75° anniversario della liberazione di Auschwitz, i leader del mondo si sono riuniti a Gerusalemme. Al forum, organizzato da Benjamin Netanyahu al Memoriale dello Yad Vashem, c’erano tra gli altri Emmanuel Macron, Vladimir Putin, Mike Pence, il Principe Carlo e Sergio Mattarella. Ma Varsavia ha disertato l’incontro e con l’Ucraina si è sfiorato l’incidente diplomatico.
Con una storica e radicale inversione di rotta, gli Stati Uniti legittimano gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il Segretario di Stato Mike Pompeo sancisce la fine del sostegno americano alla soluzione dei due stati. E il “Piano del secolo” per la pace in Medio Oriente ancora non si vede…
Con un’attenzione internazionale maggiormente concentrata a seguire le evoluzioni delle proteste in corso in Libano e Iraq, la Striscia di Gaza rischia di sparigliare nuovamente le carte e accentrare i riflettori sull’ennesima e intensa fase di tensioni con Israele. La pietra dello scandalo questa volta è stata l’uccisione di Bahaa Abu al-Atta, leader gazawi del Jihad islamico palestinese (PIJ), colpito a morte nella prima mattinata del 12 novembre durante un raid aereo condotto dall’Israeli Air Force (IAF) a Shejaia, distretto cittadino di Gaza.
Sembra – ma non è certo – che stia per finire la lunga stagione di potere di Bibi Netanyahu. Ai giovani leoni socialisti degli anni Sessanta fu molto più facile liberarsi del monumento David Ben Gurion di quanto non sia per la destra israeliana disfarsi oggi di Bibi: a suo modo un genio della politica e dei suoi inganni.
Pareggio era stato ad aprile e pareggio è stato di nuovo nelle elezioni ripetute il 17 settembre in Israele. Ma in un contesto completamente diverso, che stavolta sembra destinato davvero a mettere in forte crisi la leadership di «re Bibi» Netanyahu.
Tredici anni a capo del governo, di cui gli ultimi dieci ininterrotti; oltre trent’anni ai vertici della diplomazia e dell’amministrazione di Israele, un paese cardine per le dinamiche di una delle regioni più complesse al mondo; soldato delle forze speciali convertito alla politica, dove è diventato una delle figure più polarizzanti e divisive nel dibattito pubblico; un soprannome che unisce le opinioni opposte di sostenitori e critici: “Re Bibi”.
Larry King della CNN, un tempo conduttore del talk show più seguito d’America, diceva che “in una scala da 1 a 10, come ospite Bibi vale 8. Se avesse senso dell’humor, sarebbe 10”. Gli israeliani, anche i suoi sostenitori, direbbero che Bibi Netanyahu ha molti altri difetti e di più gravi. Ma lo hanno votato nel 1996 e ininterrottamente per un decennio in quattro elezioni dal 2009 al 9 aprile di quest’anno. Tredici anni al potere: più di David Ben Gurion.
Nelle foto pubblicate dai giornali israeliani, il sorriso di Rina mostra la consapevolezza di una vita piena di promesse. A 17 anni non può che essere così. La settimana scorsa, invece, Rina è stata uccisa da una bomba forse comandata a distanza, mentre passeggiava col padre e il fratello, vicino a una sorgente.