È finita l’era Kirchner. Il cambiamento era inevitabile. In Argentina alle ultime elezioni ha vinto Mauricio Macri, rappresentante di uno schieramento non appartenente né alla famiglia peronista, né radicale. Lo scarto minimo con il rivale, Daniel Scioli, però, limita i margini di manovra del neo-eletto, costringendolo a negoziare.
In Argentina si sono appena chiusi i seggi elettorali, Mauricio Macri viene eletto presidente. Vince il partito di “destra moderna”. Errore del diretto antagonista Scioli, è sembrato quello di non essersi differenziato dal clan Kirchner. Il peronismo perde il suo bastione più importante. Sfida del terzo governo non peronista della storia argentina è quella di riuscire a terminare il suo mandato e soprattutto a far voltare davvero pagina al paese.
Il prossimo 25 ottobre oltre 22 milioni di argentini saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo capo dello stato. Al di là delle differenze di programma tra i principali candidati (Daniel Scioli, Mauricio Macri e Sergio Massa), queste elezioni rappresentano un evento importante per la storia recente argentina, ossia la fine de “l’era K”: dodici anni consecutivi di governo di Néstor Kirchner e di sua moglie Cristina Fernández. Chiunque raccoglierà questa difficile e pesante eredità dovrà confrontarsi con una situazione sempre più problematica: economia, disoccupazione, corruzione e riforme rappresentano le principali sfide del post–kirchnerismo. Così, in un paese profondamente polarizzato, la speranza è che il processo elettorale non si traduca per l’Argentina in un’ennesima promessa mancata.
La sfida delle elezioni argentine non si giocherà sull’asse destra-sinistra, come per regimi più liberali, ma su due diversi approcci: quello populista e quello anti-populista. Se è una dialettica ricorrente nei paesi dell’America Latina, non è detto che in futuro possa riproporsi negli stessi termini. Finora ha vinto chi è stato in grado di presentare gli avversari come “contro il popolo”, ma è una narrazione che sembra avere i giorni contati, e lo dimostra la possibile svolta offerta dai modelli dei candidati.
Il primo ostacolo da affrontare per il vincitore delle prossime elezioni argentine è senza dubbio quello dell’instabile situazione economica del paese. La crisi degli ultimi anni ha messo in mostra tutti i limiti del sistema kirchnerista, e ciò che è richiesto al futuro leader è una svolta. Chi tra i candidati potrebbe essere più adatto?
La prima tornata delle elezioni argentine non è bastata per definire il presidente del nuovo ciclo politico, dopo i 12 anni dell’“era Kirchner”. Daniel Scioli, dato per favorito, non è riuscito a imporsi al primo turno (36,3 per cento dei voti), mentre è andata meglio del previsto a Mauricio Macri (34,7 per cento) e Sergio Massa (20 per cento). Bisognerà aspettare i ballottaggi del prossimo 22 novembre per avere una risposta che dipenderà da una sempre più plausibile alleanza di governo.
I fatti sono ambivalenti. Tranne uno. La morte del pubblico ministero Alberto Nisman non è solo un caso giudiziario. Lo dimostrano le quotidiane manifestazioni che da domenica 18 gennaio, il giorno della tragedia, agitano Buenos Aires e le altre città argentine. In tanti marciano tenendo alti striscioni con la scritta: “Yo soy Nisman” (Io sono Nisman). E ripetono: “Non si è ucciso”.
Borges l’avrebbe definito un “labirinto”. Gli analisti economici preferiscono utilizzare il termine più neutro di “crisi degli holdouts (creditori non pagati)”. La letteratura, però, rende meglio l’idea dell’intricato percorso compiuto dall’Argentina negli ultimi 13 anni. Tanto è trascorso da quel fatidico 23 dicembre 2001, quando l’allora presidente peronista Adolfo Rodríguez Saá dichiarò che il paese non avrebbe ripagato il proprio debito sovrano.
A un anno dalla morte di Chávez, il modo in cui la regione ha reagito all’ondata di proteste che si è scatenata in Venezuela dimostra come in teoria la maggioranza di governi di sinistra continui ad appoggiare il suo successore Maduro, e quasi senza differenza tra amministrazioni più moderate e più radicali.
Come ampiamente previsto, le elezioni legislative del 27 ottobre hanno confermato che la presidente Cristina Fernandez Kirchner ha perso molto consenso tra la popolazione. Anche se il Frente para la Victoria (governo) rimane il primo partito con il 33% dei voti, Cristina Kirchner non ha più i numeri al Congresso per riformare la Costituzione al fine di correre per un terzo mandato nel 2015.
Proprio dall’elezione di Hugo Chávez iniziò in America Latina quel fenomeno che i media hanno genericamente definito dell’“ondata a sinistra”. Alcuni paesi, però, hanno sempre mantenuto governi moderati.
Un Paese, tre scenari diversi. Eccoli: il primo è un altro default, dieci anni dopo. Il secondo è una ripartenza, dopo il rallentamento della crescita. Il terzo è una lunga fase di stagnazione. Tre ipotesi distinte ma tutte plausibili.
Nessuno economista equilibrato si espone sul futuro prossimo dell’Argentina. Gli avversari del Governo di Cristina Fernandez de Kirchner propendono ovviamente per il primo scenario. I “fan” della presidenta sono invece pronti a giurare per la ripartenza.