Recentemente si è molto detto e scritto della sconfitta di Isis a Mosul e della conseguente “liberazione” della città da parte delle forze di sicurezza irachene appoggiate dall’aviazione americana, da forze speciali occidentali e dai peshmerga curdi.
Archiviata la battaglia di Mosul, l’offensiva contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq sta per entrare nella sua seconda, e per certi versi decisiva, fase.
Dal 2014, anno della sua proclamazione e della sua massima espansione, lo Stato islamico ha perso esponenzialmente terreno grazie alle azioni militari internazionali e alla resistenza locale e sono tante le ripercussioni che il “primo Califfato dopo l’Impero Ottomano” si trova ora ad affrontare. Secondo l’IHS Conflict Monitor, oggi l’Isis possiede solo il 40% dell’area siriano-irachena che controllava nel gennaio 2015 ed è passato da oltre 90.000 kmq abitati a meno di 30.000 kmq.
Oggi i cosiddetti foreign fighters (combattenti stranieri) jihadisti sembrano porre una minaccia seria alla sicurezza di numerosi Paesi, anche occidentali.
Non solo costruzioni, ma anche commercio di materie prime e beni di consumo, trasferimenti di tecnologia, investimenti industriali. I rapporti economici tra Cina ed Egitto - ormai stabilmente marchiati con il brand “Belt and Road” - sono eccellenti, anche sotto il profilo legale.
L’importanza dell’Egitto nel progetto della “Belt and Road Initiative” è testimoniata dal fatto che, secondo uno studio della Chinese Academy of Social Sciences (CASS), il paese è tra le principali cinque destinazioni degli investimenti cinesi nei paesi lungo la nuova Via della Seta, assieme a Kazakhstan, Russia, Israele e Singapore. Nel 2016 il valore dell’interscambio fra Cina e Egitto ha raggiunto 11,3 miliardi di dollari, facendo del paese il terzo partner cinese in Africa.
Since 2011 the Libyan crisis has moved from being a domestic dispute to assuming increasing importance at the international level. Today it represents a crucial issue affecting global security. The intervention of external actors in the Libyan crisis was mainly driven by a desire to direct the transition towards outcomes that would best meet their own political and economic interests.
Accordingly, each external player tried to support one specific faction, favoring either the Parliament in Tobruk, upheld by Khalifa Haftar, or the Presidential Council headed by Fayez al-Serraj in Tripoli, the latter being legitimized by the UN as well as by local militias in both Misrata and Tripoli.
This report analyzes the troublesome re-building of Libya with a focus on the specific role played by international actors (neighboring and Gulf countries, European nations, Russia and the US) which make it more of an international rather than a domestic issue.
Tra i diversi conflitti che alimentano il caos siriano, ce n’è uno meno riconoscibile degli altri, ma altrettanto pericoloso: quello per l’egemonia del jihadismo transnazionale. Non deve sorprendere che venga combattuto in Siria, perché è proprio intorno al “dossier siriano” che ha preso forma l’antagonismo tra le due principali formazioni del salafismo-jihadista, lo Stato islamico e al-Qaeda.
Il fatto che un mezzo accordo sulla tregua in Siria sia l'unico risultato concreto del faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin al G20 di Amburgo dimostra quale sia stato il vero valore dell'intervento a fianco di Bashar al-Assad per Mosca: avere una merce di scambio con l'unico interlocutore strategico che le interessa, gli Stati Uniti.
I curdi siriani sono assurti a campioni della lotta sul campo contro l’Isis a suon di finanziamenti logistici e militari e di incensamenti da parte di tutta la comunità internazionale. La riconquista di Raqqa, capitale dell’autoproclamato Califfato di al-Baghdadi, è soltanto l’ultima, e sicuramente tra le più simboliche, delle tappe di un cammino che, almeno dal 2014, vede i curdi in prima linea contro i jihadisti.
La Siria di domani è un puzzle che si sta lentamente, e dolorosamente, componendo. E, una volta completato, conserverà ben poco del paese che fu. Nonostante la retorica e le roboanti dichiarazioni del regime di Bashar al-Assad, è ormai chiaro infatti che la Siria sia sempre meno destinata a tornare a essere un paese unitario e sempre più condannata a diventare uno “spazio geografico”, diviso per zone d’influenza fra fazioni interne, stati regionali e potenze internazionali.
L’ultimo cessate il fuoco mediato da Usa e Russia – il quinto di una serie a dir poco fallimentare dal 2011 – è l’ennesimo tassello nella spartizione della Siria tra potenze regionali e internazionali, e difficilmente potrà presentarsi come una tappa credibile nella risoluzione del conflitto.