La crisi in Repubblica Centrafricana, un paese di medie dimensioni, popolato da meno di cinque milioni di abitanti, di cui due terzi residenti in area rurale, avrebbe potuto continuare a essere considerata un fenomeno periferico, non fosse stato per l’attenzione di Parigi e di Washington, che, invocandola come una delle priorità della sicurezza internazionale, l’hanno riportata all’attenzione di vari consessi multilaterali – dall’Assemblea generale dell’Onu al recente Forum Francia-Africa a Parigi.
Una recente escalation di violenza ha investito il Mali riportando le lancette del processo di pacificazione dell’intera regione indietro di qualche luna. Dopo mesi in cui gli unici botti sono stati quelli dei festeggiamenti di libere e partecipate elezioni, nel paese è tornato a risuonare il suono freddo e metallico delle armi. In poco più di una settimana interruzione dei negoziati di pace, scontri e attentati suicidi al nord; sequestri, arresti e un’insurrezione di militari golpisti, al sud.
Per spiegare l’attuale situazione nel sud della Libia e in Niger si potrebbe ricorrere alla classica interpretazione delle relazioni internazionali come “palla da biliardo”. Secondo questa gli stati reagirebbero nell’arena internazionale esattamente come su un tavolo da biliardo rispondendo agli stimoli esterni. L’instabilità del Mali e dell’area saheliana è stata in buona misura il risultato dell’intervento militare in Libia del 2011.
L’intervento militare in Mali, cominciato l’11 gennaio 2013, è senza dubbio una delle decisioni più ambivalenti che abbia preso un presidente francese da molto tempo.
Il Sahel è stato etichettato “Afriganistan” da alcune testate straniere. L’Africa occidentale, in realtà, è una delle regioni più complesse, fragili e insicure del pianeta. Storicamente caratterizzata da malnutrizione cronica e insicurezza alimentare, ha visto un incre-mento di trafficanti e terroristi creando le condizioni per una crisi umanitaria, economica e istituzionale che mina la sicurezza locale, regionale e globale.